L’esigenza della religione

La Critica della ragion pratica si conclude stabilendo la necessità di porre come guida dell’azione morale tre postulati, tra cui quello dell’esistenza di Dio. Questa affermazione comporta la risoluzione della religione nell’etica: non è l’etica che debba scaturire dalla religione, non si tratta perciò di un’etica di tipo contenutistica, con doveri specifici (come le tavole della legge di Mosè), ma formale che indica la forma dell’agire. Seppur trattiamo di un’etica razionale, rimane tuttavia irrisolto il problema della salvezza.
C’è dato comunque sperare, come si sostiene nella Pratica: «se io faccio quello che debbo fare» posso sperare che Dio ricompensi la mia vita virtuosa con il premio della felicità; si ha così il Sommo Bene, la virtù, significa la felicità. A coronamento dei nostri discorsi, che rapporto c’è tra la felicità e la moralità? Avere il rispetto della legislazione morale, interiore, significa subordinare il proprio desiderio di felicità; mentre la virtù deve essere considerata in se stessa nell’idea della ragione ovvero «come l’uomo deve essere».

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