Il colonialismo come conseguenza della storia umana moderna

Il fenomeno del colonialismo ha avuto un ruolo tutt’altro che marginale all’interno dello sviluppo di quelli che adesso sono considerati i paesi più industrializzati e sviluppati del globo, per questo è giusto partire da questo argomento per inquadrare i fatti avvenuti dopo nella storia e per definirne la forma (irregolare, ciclica o progressiva). Per molti versi la storia del colonialismo può essere fatta iniziare con la scoperta dell’America da parte di Cristoforo Colombo nel 1492, anche se, fuori dall’Europa, già si erano verificati numerosi episodi di colonizzazione tra diverse tribù locali e non. Il perché di questa voglia improvvisa di cercare nuove terre e, una volta trovate, spingersi anche ad uccidere il popolo locale sono racchiuse in varie teorie e spiegazioni. La teoria più conosciuta è quella composta da 3 ragioni che spiegherebbero lo spostamento di alcune civiltà in altre zone del mondo: lo spirito imperialista, lo sviluppo economico europeo e il forte aumento della popolazione. Queste ragioni possono essere tranquillamente valide, ma pochissimi storici si sono domandati del perché troviamo così tanta disuguaglianza tra le varie popolazioni.

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Kant o Hegel? Individualità o eticità?

Hegel critica la concezione kantiana di morale, in quanto fondamentalmente astratta ed individuale. In Kant rimane una morale dell’intenzione, mentre Hegel, con la sua eticità dialettica, esprime la realizzazione dell’individuo nell’ambito: familiare, della società e dello Stato.

Se ci si riflette sopra, la morale di Kant può in effetti sembrare quasi egoistica: un’azione risulta essere moralmente valida quando soddisfa il criterio dell’universalizzazione, ossia quando ogni uomo ipotizza il proprio comportamento come adottabile da chiunque, eppure allo stesso tempo è come se andasse a negare a priori il contrario di ciò che l’individuo considera essere il comportamento giusto da adottare.

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ateismo ed individualismo

Nel micro-intervento del filosofo ed opinionista Diego Fusaro vengono affrontati svariati argomenti, tutti però, legati dal macro argomento che è l’ateismo e gli effetti di quest’ultimo sulla società post- moderna. L’ateismo viene definito come perdita della verità, intesa come bene comunitario, e vittoria di un’irrilevanza generale dovuta anche al compimento del mondo nichilista, infatti nell’età post-moderna si realizza l’annuncio di Nietzsche con la morte di Dio. Inoltre Fusaro sviluppa una vera e propria critica nei confronti dell’ateismo perché lo ritiene responsabile dell’odierno materialismo e capitalismo, per quanto mi riguarda, invece, non capisco come una società basata sulla religione e su legami di fratellanza, possa influenzare e cambiare un sistema come quello capitalistico e quello dello scambio merce che ormai è radicato nella nostra società dagli inizi di quest’ultima e che crea, a differenza di interrompere, legami tra comunità piccole o grandi che siano, grazie proprio alla forma merce, che Fusaro definisce “unico fondamento a cui tutti gli altri sono subordinati”, avvengono questi scambi che aiutano la società e contribuiscono allo sviluppo di nuovi legami tra comunità e non ad un individualismo imperante che si traduce nel sistema tomistico, basato su una società che procede ad una scomposizione di ogni aggregato comunitario.

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l’ateismo e la nuova fede

Ogni uomo, all’interno di una società basata sulla concordia ed il reciproco sostegno, ha dentro di sé dei valori, inseriti a priori da una figura trascendentale, che da secoli identifichiamo con il concetto di Dio. Se un individuo che si muove in una piccola realtà sociale e primordiale, chiamata famiglia, concepisce nella sua interiorità il valore comunemente condiviso della bontà, per cui anche se appena nato e privo di ogni educazione non è indirizzato a nessuna forma di violenza, ciò sta inevitabilmente ad affermare che l’uomo che vive in comunità condivide dei valori, valori promulgati da una figura esterna a noi, Dio.

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il male radicale di Kant, considerazioni

Da La religione entro i limiti della sola ragione

La frase: l’uomo è cattivo, non può, dopo ciò che precede, voler dire altra cosa che questo: l’uomo è consapevole della legge morale, ed ha tuttavia adottato per massima di allontanarsi (occasionalmente) da questa legge. La frase: l’uomo è cattivo per natura significa solo che tale qualità viene riferita all’uomo, considerato nella sua specie: non nel senso che la cattiveria possa essere dedotta dal concetto della specie umana (dal concetto d’uomo in generale, poiché allora sarebbe necessaria); ma nel senso che, secondo quel che di lui si sa per esperienza, l’uomo non può essere giudicato diversamente, o, in altre parole, che si può presupporre la tendenza al male come soggettivamente necessaria in ogni uomo, anche nel migliore. Ora, questa tendenza bisogna considerarla essa stessa come moralmente cattiva, e perciò non come una disposizione naturale, ma come qualche cosa che possa essere imputato all’uomo, e bisogna quindi che essa consista in massime dell’arbitrio contrarie alla legge. Ma, d’altronde, queste massime, in ragione appunto della libertà, bisogna che siano ritenute in se stesse contingenti, cosa che, a sua volta, non può accordarsi con l’universalità di questo male se il fondamento supremo soggettivo di tutte le massime non è, in un modo qualsiasi, connaturato con la stessa umanità e quasi radicato in essa. Ammesso tutto ciò, potremo allora chiamare questa tendenza una tendenza naturale al male, e, poiché bisogna pur sempre che essa sia colpevole per se stessa, potremo chiamarla un male radicale, innato nella natura umana (pur essendo, ciò non di meno, prodotto a noi da noi stessi). Che una tale tendenza depravata sia di necessità radicata nell’uomo, possiamo risparmiarci di dimostrarlo formalmente, data la quantità di esempi palpitanti che, nei fatti degli uomini, l’esperienza ci pone sotto gli occhi.
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la natura umana secondo Kant

Con natura dell’uomo Kant intende il fondamento soggettivo dell’uso della libertà umana, che prescinde dai sensi, ma è anche allo stesso tempo un atto di libertà in sé, sennò non si potrebbe spiegare il comportamento moralmente buono o malvagio del singolo individuo. La ragione del male dipende non da un istinto naturale, ma da una regola che l’uomo dà a sé stesso, affinché possa esercitare la sua libertà. La legge morale è un imperativo categorico che l’uomo comanda a sé; gli imperativi categorici sono le leggi morali valide universalmente, non per il loro contenuto, ma per la loro forma di legge. Un imperativo categorico deve poter essere reso universale secondo le varie formulazioni, tra cui quella che afferma di agire in modo che la massima della propria azione soggettiva possa diventare legge universale oggettiva della natura.

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critica al comunismo

Il Manifesto del partito Comunista viene steso nel 1848 da Marx ed Engels, personalità rappresentative della Lega dei comunisti, fondata nell’anno precedente. Marx, espulso da Parigi e dal Belgio su richiesta del governo dopo la pubblicazione del Manifesto, sostiene nell’opera la necessità di distinguere le lotte tra le classi sociali durante gli anni della storia dell’uomo.

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