Quando Kant tratta dell’imperativo categorico presuppone un bene insito nell’essere umano, una disposizione al bene, il quale utilizza la sua libera volontà per autoregolarsi. Sono la ragione e la moralità collettiva a rendere gli uomini uguali; introduce Kant così la legalità: l’uomo ha piena responsabilità delle proprie azioni e può agire libero, indipendentemente dalle conseguenze. Tutto ciò si basa su di una volontà svincolata dall’esterno e che è in grado di elevare l’uomo oltre i limiti naturali, sensibili.
Leggi tuttoLa massima come regola dell’arbitrio
Un uomo è moralmente cattivo non tanto per le azioni, sibbene per le intenzioni ovvero in quanto sussistono massime esecrabili in lui; perciò come si può sostenere a priori che un uomo, in senso generale o meno, sia cattivo? Che lo sia per natura? Sussiste in lui un principio malvagio? Una massima cattiva che è il fondamento delle altre massime, che le corrompe? La questione diventa paradossale pur se si intende natura come l’uso della libertà umana; dunque l’uomo è per natura cattivo? Si aggiunga che l’ipotetico fondamento malvagio, tuttavia, è esso stesso un atto di libertà altrimenti sussisterebbe un determinismo. La ragione del male perciò non può trovarsi in nulla che costringa l’arbitrio, né tantomeno in un istinto naturale; ma in una regola che l’arbitrio da a sé, come uso della propria libertà, cioè in una massima.
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