la forza-lavoro come merce in Marx

Lo scambio delle merci non include altra dipendenza oltre lo scambio tra l’acquirente e il venditore, solo se consideriamo il venditore come uomo libero dal proprio prodotto, quindi libero dalla propria forza-lavoro e dalla propria persona. L’uomo, inteso come sia colui che vende che colui che acquista, entra perciò in un rapporto come possessore di merci e, banalmente, di pari diritti. Fondamentale è tener presente che Marx vuole sostanzialmente la realtà come risultato di uguaglianza e disalienazione, smascherando perciò tutta la società borghese che poggia sullo sfruttamento da cui essi traggono vantaggio. Hegel stesso prende il concetto di alienazione come stato positivo e negativo allo stesso tempo, in quanto l’idea stesse esce da sé per potersi successivamente riappropriarsi di sé in modo arricchito, ma tramite la disalienazione il pensiero stesso ritorna in sé come spirito oggettivizzato nella realtà. in Feuerbach, maestro di Marx, il concetto di alienazione prende forma in una concezione puramente negativa, compiendo un significativo mutamento semantico, in quanto la religione stessa compie nell’uomo un processo di alienazione, poiché si sottomette ad una potenza estranea a sé. Perciò ovviamente anche Marx accetta il concetto di alienazione come auto estraniamento e dipendenza, che si rispecchia chiaramente nella situazione socio-economica di metà ‘800 dove il nucleo centrale è la produzione capitalistica basata sull’industria.

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la logica aristotelica

La logica è un metodo comune a tutte le scienze nello studio dei ragionamenti. I vari tipi di ragionamento sono: induzione/intuizione, dal particolare all’universale e deduzione, dall’universale al particolare. La logica aristotelica è una scienza, che Aristotele, in qualche modo, non considera veramente una scienza, ma una tecnica, uno strumento con cui capire, comprendere e analizzare i vari problemi.

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la ricerca del sapere, Aristotele

L’uomo condivide con gli animali la sensazione, fra i diversi tipi di sensazioni quelle più importanti sono certamente l’udito e la vista; e tramite questi che apprendiamo maggiormente. Qui abbiamo ancora quella traccia di importanza dell’oralità, del primato dell’oralità sulla scrittura. Aristotele è il primo che concepisce che diversi tipi di scienze esistono perché esistono diversi tipi di oggetti. La singola sensazione riguarda il singolo oggetto o evento definito nello spazio e tempo; ciò che si percepisce e quello del qui ora. Tutto ciò nel linguaggio aristotelico si traduce sostenendo che la sensazione concerne il che, non ancora il perché.

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Hegel, il rivoluzionario

Per quanto concerne l’elemento etico, l’individuo non può e non deve vivere da sé come un atomo, ma deve prendersi cura di sé e degli altri; come in Spinoza, in Hegel nessun ente e a sé. Così, mentre il desiderio è la prima manifestazione di un riconoscimento, poiché l’individuo vuole fra le prime cose essere riconosciuto quale individuo (dialettica servo-padrone), questo desiderio di essere riconosciuto deve avere un limite; il desiderio illimitato del capitalismo è ciò di più anti-hegeliano che ci sia. L’economia è uno strumento della società che risponde ai bisogni, ma non può venir “lasciata libera”, deve essere organizzata, tutelata dallo Stato (il tuo desiderio finisce laddove inizia quello dell’altro). Lo Stato deve garantire il benessere sociale, proprio per il tramite dell’economia; il benessere di tutti o della maggior parte.

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l’intellettuale dalla parola irrequieta

Cent’anni fa nasceva Pier Paolo Pasolini, l’intellettuale dalla parola irrequieta

Pier Paolo Pasolini nasce a Bologna il 5 Marzo 1922. Nel 1929 la famiglia si trasferisce definitivamente a Sacile in Friuli, dove sin da giovane si avvicina alla scrittura, affascinato dal territorio e dalla nuova atmosfera abitativa. Nel 1935 frequentò il Ginnasio Liceo Daniel Manin di Verona, esperienza molto formativa dal punto di vista letterale. L’amore per la poesia e la letteratura si unì a quello per la scrittura. Successivamente a Bologna, dove visse sette anni fondò un gruppo di discussione letteraria insieme a suoi amici studenti.

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la dottrina dell’amore e della bellezza, Platone

Per comprendere al meglio la visione dell’amore di Platone, è necessario prendere in considerazione prima di tutto la concezione che lui stesso ha dell’uomo: un essere diviso a metà tra anima e corpo, tra aspirazione verso il mondo delle idee e tendenza a cedere alle tentazioni del mondo materiale.

Platone, riprendendo ciò che era stato detto da Socrate, definisce l’amore una follia, ma va avanti nell’analisi, sostenendo che non sempre la follia è un male. L’amore diventa infatti una follia divina, fonte di bene per gli esseri umani. La bellezza di cui ci si innamora non è altro che la rivelazione dell’armonia divina, la quale «riaccende» nell’uomo il ricordo della Bellezza Ideale che l’anima sensibile aveva contemplato prima di incarnarsi. È mediante la contemplazione della bellezza che ci si avvicina all’intelligenza stessa. Infatti l’uomo, grazie alla reincarnazione, vita dopo vita, impara a non lasciarsi ingannare dalla bellezza estetica, ma cerca qualcosa in più, fino a giungere anche alla bellezza del divino stesso.

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la giustizia secondo Platone 

​I temi fondamentali di alcuni dialoghi di Platone si trovano riassunti nella sua massima opera, la Repubblica, che li ordina e li connette intorno al motivo centrale di una comunità perfetta, nella quale il singolo trova la perfetta formazione. Nella Repubblica il dialogo è dedicato al tema della giustizia. Essa si apre con le considerazioni di Cefalo, il padre di Lisia, sulla vecchiaia e si chiude con il mito di Er sul destino delle anime dopo la morte: i problemi esistenziali dell’individuo trovano la loro soluzione nella giustizia della città. L’individuo è in piccolo quel che la città è in grande ed è un elemento della città.

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la dialettica hegeliana

Hegel considera il negativo come il motore della storia – in maniera analoga, nelle vite individuali, le esperienze negative generano riflessione; – le guerre “alimentano” i popoli e le nazioni, causando il male del mondo e costringendo l’uomo a prendere coscienza delle proprie azioni. Laddove si trova la negazione esiste una divisione, se vi sono più elementi, o un’auto-differenziazione, se vi è un elemento unico: l’io si auto-differenzia da sé, momento negativo, comprendendo di non essere il “tu”; in questa negazione esiste sicuramente una relazione, il “noi”, che toglie-conserva (Aufheben) l’io e il “tu” portandoli a una visione più ampia. Nel lessico hegeliano, il noi è più concreto del tuio che sono astratti.

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trent’anni fa il Trattato di Maastricht

Trent’anni fa il Trattato di Maastricht, l’accordo che definì le basi dell’Unione Europea

Il processo di unificazione politica dei paesi europei iniziò il suo percorso con la Dichiarazione Solenne sull’Unione Europea adottata dal Consiglio Europeo di Stoccarda nel 1983. Un atto che poneva le basi per un integrazione con la CEE e che avrebbe avuto il nome di Unione Europea. Con la riunificazione tedesca e la caduta del Muro di Berlino il presidente francese Francois Mitterrand fu tra i promotori di un accelerazione decisiva tesa ad inserire il nuovo governo tedesco in una visione di Europa integrata.

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il male radicale di Kant, considerazioni

Da La religione entro i limiti della sola ragione

La frase: l’uomo è cattivo, non può, dopo ciò che precede, voler dire altra cosa che questo: l’uomo è consapevole della legge morale, ed ha tuttavia adottato per massima di allontanarsi (occasionalmente) da questa legge. La frase: l’uomo è cattivo per natura significa solo che tale qualità viene riferita all’uomo, considerato nella sua specie: non nel senso che la cattiveria possa essere dedotta dal concetto della specie umana (dal concetto d’uomo in generale, poiché allora sarebbe necessaria); ma nel senso che, secondo quel che di lui si sa per esperienza, l’uomo non può essere giudicato diversamente, o, in altre parole, che si può presupporre la tendenza al male come soggettivamente necessaria in ogni uomo, anche nel migliore. Ora, questa tendenza bisogna considerarla essa stessa come moralmente cattiva, e perciò non come una disposizione naturale, ma come qualche cosa che possa essere imputato all’uomo, e bisogna quindi che essa consista in massime dell’arbitrio contrarie alla legge. Ma, d’altronde, queste massime, in ragione appunto della libertà, bisogna che siano ritenute in se stesse contingenti, cosa che, a sua volta, non può accordarsi con l’universalità di questo male se il fondamento supremo soggettivo di tutte le massime non è, in un modo qualsiasi, connaturato con la stessa umanità e quasi radicato in essa. Ammesso tutto ciò, potremo allora chiamare questa tendenza una tendenza naturale al male, e, poiché bisogna pur sempre che essa sia colpevole per se stessa, potremo chiamarla un male radicale, innato nella natura umana (pur essendo, ciò non di meno, prodotto a noi da noi stessi). Che una tale tendenza depravata sia di necessità radicata nell’uomo, possiamo risparmiarci di dimostrarlo formalmente, data la quantità di esempi palpitanti che, nei fatti degli uomini, l’esperienza ci pone sotto gli occhi.
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