Hegel sostiene che l’ateismo sia la perdita di interesse per la verità tipica di un mondo in cui tutto diventa irrilevante. Si può sostenere che Hegel rimanga ateo, in quanto nega l’esistenza di un Dio creatore, trascendentale. Per lui infatti la realtà coincide con l’Assoluto, Dio consisterebbe nella Storia, ovvero nella manifestazione più propria dell’Assoluto.
La religione viene vista da Hegel come la scissione tra il soggetto, che si sente mutevole, e la coscienza immutabile eterna di Dio. Questa scissione genera l’infelicità della coscienza che porta l’uomo a riconoscere tutto in Dio e nulla in sé: si tratta però di una devozione in termini di puro sentimentalismo, infatti essa non porta al raggiungimento del vero infinito. Anche le opere di bene, grazie alle quali l’uomo spera di avvicinarsi a Dio e ricongiungersi ad esso, provengono sempre da Dio stesso: di nuovo abbiamo una mortificazione e una separazione tra l’uomo e la figura che dovrebbe aver creato il tutto.
L’epoca post moderna in cui viviamo è quella in cui si compie la “morte di Dio” annunciata da Nietzsche, un mondo in cui si è smesso di credere in tutto tranne che al libero scambio, unico valore superstite.
L’ateismo non ha però nulla a che vedere con l’aumento della conoscenza scientifica, credere nell’esistenza di Dio ed avere in Lui fede non ostacolano le pratiche scientifiche. Galilei era un grande sostenitore dell’autonomia della scienza dalla religione e dalla magia. In particolare scienza e fede sono da lui considerate come due binari separati, con due funzioni separate e due destinatari separati. È quindi necessario distinguere la verità scientifica da quella della fede, cosa che ai suoi tempi non veniva fatta, la Chiesa era infatti la divulgatrice anche dei testi riguardanti le scienze, proprio per questo andrà incontro, con le sue varie opere, ad una reazione dura ed intransigente da parte della Santa Sede.
Figure di spicco nei campi scientifici possono credere in un qualsivoglia Dio, così come figure appartenenti all’ambito religioso possono affidarsi alla scienza con la stessa fede con cui si affidano al loro Creatore.
L’ateismo deve invece essere messo in connessione con l’individualismo che si dilaga nella nostra società, che assomiglia sempre di più al sistema dell’atomistica di Hegel: una società che procede ad una scomposizione di ogni aggregato comunitario, singoli atomi consumistici che si relazionano tra loro negli spazi globalizzati della mondializzazione, secondo la solo logica della massimizzazione del profitto.
Bisogna però ricordare che per Hegel l’individuo non può e non deve vivere da sé come un atomo, ma deve prendersi cura di sé e degli altri. L’economia è lo strumento della società che risponde ai bisogni e che non può essere lasciata libera, deve essere organizzata e tutelata dallo Stato, in modo da garantire il benessere sociale.
Anche Marx si dichiara contrario all’individualismo, in quanto sintomo del problema maggiore: la proprietà privata. Gli ideali di Marx puntavano ad una uguaglianza effettiva tra individui, non solo formale; all’atto pratico l’obiettivo principale voleva essere l’abolizione della proprietà privata, per permettere allo Stato di elevarsi al servizio della comunità e non essere strumento della classe borghese.
Marx identifica la religione come la sovrastruttura per eccellenza, che va a giustificare economia e accumulo di ricchezza. Riprende da Feuerbach il meccanismo alla base dell’alienazione religiosa, per cui non risulta essere Dio a creare l’uomo, ma l’uomo che “crea” Dio in base ai propri bisogni.
Marx inoltre elabora la teoria della religione come oppio dei poveri: la religione è la consolazione illusoria in cui le masse sofferenti e alienate cercano conforto a fronte delle ingiustizie sociali. Di conseguenza per far sì che venga eliminata la religione, in quanto frutto malato di una società malata, bisogna distruggere le strutture sociali che ne costituiscono le radici e quindi, come sempre ritorna nel pensiero di questo filosofo, è necessaria l’abolizione della proprietà privata.
Dio è sempre anche il riflesso trascendentale della comunità umana, in cui gli uomini sono fratelli, creature di un unico Dio. Il trionfo dell’ateismo in un occidente nichilistico è il risultato del dilagarsi delle logiche di individualizzazione e di privatizzazione dell’esistenza degli individui. Gli individui non credono più né in Dio né in una comunità solidale.
Il mondo diventa un unico piano globalizzato, senza alto, né basso, né trascendenza. L’idea di Dio come valore comunitario e di presenza trascendente deve quindi essere messa da parte in nome delle logiche del capitale finanziario. Dio non ha alcun ruolo nella società e diventa qualcosa di puramente negativo di cui liberarsi.
Eppure avere fede non può e non deve essere considerato come un qualcosa di negativo, ovviamente bisogna manifestare le proprie credenze sempre nei limiti “sicuri”, non andando a far del male agli altri o portando avanti conflitti in nome di una qualche forza a noi superiore.
Avere fede non significa strettamente essere religiosi, ognuno di noi in fin dei conti ha fede in qualcosa, anche gli atei. Si può avere fede in Dio, in Allah, nella scienza, nelle leggi della termodinamica, nell’economia, nella Borsa, ma fede in qualcosa la si ha sempre. Avere fede significa avere qualcosa a cui aggrapparsi, rappresenta anche una sorta di rifugio.
Si può affermare che chi ha fede si illuda, forse è vero, forse no: ma se questa illusione è ciò che serve affinché si possa trovare un qualche senso di pace e di ordinamento nel caos che è la vita, la società, il mondo che ci circonda, permeato da crimini, violenza e male e se questa illusione non reca danno a nessuno… allora che male c’è?
Come non c’è male nel negare l’esistenza di Dio, perché questo significa essere atei, nulla di più. Un’etichetta legata ad una pura scelta personale, certo influenzata dai tempi, ma pur sempre una mera scelta personale.
L’ateismo può essere collegato con l’individualizzazione, fenomeno che sarebbe da sciocchi negare si stia dilagando sempre di più nella nostra società, ma non trovo possa essere quindi visto in senso negativo. Con l’evolversi dei tempi sono cambiati i “principi” in cui la popolazione ripone la propria fede, ma ciò non vuol dire che chi sceglie di credere in un Dio sia meno individualista di chi sceglie di non crederci o viceversa.
Riflessione stilata dalla studentessa Alessia Brongo, Liceo Scientifico Statale Antonio Labriola (RM).