Lenin, l’anticoloniale

Lenin, fu sempre connotato sotto il termine di anticoloniale. I movimenti anticoloniali in tutto il mondo, sono stati sicuramente entusiasmati dalla rivoluzione russa, la quale ha alimentato la speranza che gli imperi europei potessero essere rovesciati. Non è un caso: la rivolta contro l’impero era parte centrale nella strategia di Lenin.

Ad oggi il nome di Lenin è associato a monumenti grigi, e sicuramente ad uno stato di tipo autoritario, ma in precedenza gran parte del linguaggio radicale degli anni Sessanta e Settanta (dalla critica femminista ai discorsi sul sistema mondiale capitalista), si rifaceva al precedente momento rivoluzionario degli anni Venti, che fu proprio messo in atto dal rivoluzionario sovietico stesso.
Nel 1913, Lenin reagì alla rivoluzione in Cina con una serie di articoli che parlavano di «Europa arretrata e Asia avanzata», deridendo e capovolgendo il duello coloniale tra il civilizzato e il barbaro, poiché voleva che la rivoluzione russa si diffondesse anche in India. Non era giusto, secondo il politico sovietico, che quando si parlava dell’alta società delle capitali occidentali, era come se si parlasse del mondo intero, dimenticandosi così di tutto il resto della popolazione. Pian piano questa successiva affermazione che il pensiero colonialista fosse così parte «del tempo», aprì nuove strade.
Il testo di Lenin del 1916 Imperialismo (fase Suprema del capitalismo) fu preso in prestito liberamente da Bukharin e fu pubblicato con il sottotitolo: una descrizione popolare. In quel tempo, Lenin era solo un volto noto associato a un progetto collettivo, intellettuale e politico. I suoi protagonisti provenivano spesso da popolazioni disprezzate e derise dal razzismo imperiale. Secondo la teoria leninista dell’imperialismo, all’inizio del XX secolo le grandi potenze capitaliste avendo ormai ultimato di spartirsi la totale superficie del pianeta, avviarono la colonizzazione delle regioni economicamente più arretrate. L’imperialismo moderno descriveva una nuova (e “suprema”) fase del capitalismo, caratterizzata dalla contraddizione tra Paesi coloniali e Paesi imperialisti.

Una delle principali conseguenze, fu sicuramente la creazione di un “aristocrazia operaia” nei Paesi più avanzati. Un ceto sociale appartenente alla classe operaia, ma di fatto staccato da essa nelle sue condizioni e nella sua coscienza politica, corrotto attraverso i profitti dati dallo sfruttamento dei Paesi poveri. D’altro canto il nuovo capitalismo mondiale, oltre ad accelerare la proletarizzazione delle masse contadine del mondo coloniale, apriva possibilità rivoluzionarie anche nei Paesi arretrati, grazie alle lotte di liberazione che andò a suscitare, creando un’alleanza di fatto tra i popoli oppressi dall’imperialismo e il proletariato dei Paesi industrializzati. Queste lotte contadine e anticoloniali sarebbero potuto essere oggettivamente anticapitaliste se avessero interrotto la fornitura di cibo che alimentava l’idra.
Questa concezione dell’imperialismo “fase suprema del capitalismo”, fecero dire a Lenin che il capitalismo era ormai: «[…] un involucro non più corrispondente al contenuto, involucro che deve andare inevitabilmente in putrefazione qualora ne venga ostacolata artificialmente l’eliminazione, e in stato di putrefazione potrà magari durare per un tempo relativamente lungo […], ma infine sarà fatalmente eliminato.» L’appello di Lenin era di certo all’autodeterminazione nazionale, la quale faceva parte di una strategia transnazionale, che aveva lo scopo di porre fine al capitalismo globale e (in teoria) stabilire federazioni più egualitarie. Lenin come detto in precedenza era un implacabile anticoloniale, e ciò derivava dall’anatomia intellettuale del suo marxismo, per questo pensava allo spazio globale non come un mercato mondiale piatto in cui le merci scorrono in tutte le direzioni, ma come un nesso variegato e gerarchico strutturato da un potere capitalista concentrato in una manciata di paesi.

Questa concezione dell’autodeterminazione, produsse l’anticolonialismo e l’antistatalismo dei bolscevichi, due concetti che avevano un legame ombelicale. Molto interessante nella scrittura di Lenin, è il ruolo della catastrofe come spettro terrificante che si delinea all’orizzonte. Le guerre indotte dall’imperialismo (come il massacro del 1914), costituivano secondo Lenin, una catastrofe da evitare attraverso le rivoluzioni, le quali erano «un freno di emergenza». (quest’ultime, erano una forma di anticolonialismo ricavate in parte collegando il problema dell’impero al potere burocratico dello stato).
L’ala dissidente di sinistra, di cui Lenin era la chiave, negava in tutti i modi che l’imperialismo avrebbe migliorato sia la periferia che il nucleo metropolitano, e quest’ala fu spaventata, all’inizio del ventesimo secolo, dal crescente aumento del potere esecutivo ed espansionista. Per cui, secondo l’imperialismo esemplificava la negazione dell’autonomia che i comunisti vedevano anche nella condizione del lavoratore sotto il capitalismo. Ai lavoratori in questo modo veniva sistematicamente negato il potere sulla loro vita, nella vita politica e nella vita sociale. Le speranze di Lenin per il soviet (una sorta di governo del consiglio degli oppressi) risiedevano nella promessa di sostituire la rappresentanza parlamentare indiretta, con una democrazia diretta. Pensava che fosse l’unica forma politica coerente con la transizione alla società senza classi, la quale si fondava nell’eguaglianza e nell’emancipazione della sovranità popolare. Ciò spiega la teoria politica del capitalismo di Lenin: l’oppressione veniva vista come depotenziamento, il potere sovietico come antidoto, e la critica dello stato (su cui Marx non ha mai offerto un trattato completo) come meccanismo centrale che motiva la riproduzione del capitalismo.
A Baku nel 1920, i bolscevichi riunirono il Congresso dei popoli dell’Est, dove invocarono una jihad contro l’imperialismo britannico, dicendo che coloro che possedevano simpatie per il colonialismo potevano considerarsi fortunati a non finire sulla forca. Ampliarono l’invocazione di Marx «proletari del mondo unitevi!» includendovi inoltre i «popoli oppressi» . Si trattava di un modello di teoria politica, le cui prescrizioni erano radicate in una teoria critica della società capitalista dell’epoca e dei possibili soggetti politici da essa generati. Naturalmente, oggi, questa non sarebbe applicabile.
Gli ultimi anni hanno visto una gradita revisione nella comprensione dei primi lavori di Lenin, ci fu una rivalutazione del suo lavoro successivo alla sua rottura con la corrente principale del marxismo del 1907. In quali canoni dovremmo collocare Lenin? La risposta è difficile e quasi impossibile. Riuscì ad affrontare la questione dell’impotenza proletaria con un’acutezza mai vista prima nella tradizione marxista. Intravide le ardenti possibilità rivoluzionarie dei contadini e dei sottoproletari e in quelli segnati dai pregiudizi di razza e nazione, classificandole come ulteriori forme di sfruttamento e oppressione. Condivise le preoccupazioni sulle difficoltà dell’emancipazione nel mondo ricco e sulla sua presenza altrove, sottolineando la necessità della lotta transnazionale per il bene di entrambi. Lenin potrebbe sembrare il cattivo; ma la vera storia è più complicata e impegnativa.

Lenin, più di Marx, parlava come un repubblicano radicale del Settecento e in Unione sovietica Lenin fece costruire una statua a Robespierre. Per Lenin era il distruttore del passato feudale e il creatore del mondo borghese, che aveva visto il moto della storia e si era battuto strenuamente per realizzarlo. Lenin quindi fu una figura di transizione di profonda importanza, che scrisse anche pilastri di storia. Collocate nel divario tra la speranza del socialismo come libertà e la forma di governo socialista del ventesimo secolo, in mezzo a una nascente e terribile burocrazia, le ultime opere di Lenin sono, a loro volta, frenetiche e disperate. L’isolamento, la guerra, e il caos facevano sembrare la libertà molto distante; se il capitale non lasciava spazio, Lenin si chiedeva, come avrebbero potuto le persone costruire una nuova comunità di uguali?

Compendio stilato dalla studentessa Alice Scognamiglio, Liceo Scientifico Statale Antonio Labriola (RM).

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