la giustizia secondo Platone 

​I temi fondamentali di alcuni dialoghi di Platone si trovano riassunti nella sua massima opera, la Repubblica, che li ordina e li connette intorno al motivo centrale di una comunità perfetta, nella quale il singolo trova la perfetta formazione. Nella Repubblica il dialogo è dedicato al tema della giustizia. Essa si apre con le considerazioni di Cefalo, il padre di Lisia, sulla vecchiaia e si chiude con il mito di Er sul destino delle anime dopo la morte: i problemi esistenziali dell’individuo trovano la loro soluzione nella giustizia della città. L’individuo è in piccolo quel che la città è in grande ed è un elemento della città.

L’idea di Giustizia della Repubblica è l’idea della città ideale, tripartita, con i filosofi al potere e senza leggi. Le tre funzioni principali dello stato che si riferiscono alla produzione dei beni necessari alla vita della città, alla sua difesa e al suo governo trovano un’analogia nell’interna struttura dell’uomo in cui coesistono principi di azione: l’anima incupisci bile che presiede la vita biologica; quella irascibile in cui si esprime la forza dell’individuo; l’anima razionale che deve sovrintendere l’attività dell’uomo e governare le altre due anime. Alle tre anime dell’individuo corrispondono le tre classi della società: l’anima razionale sono i reggitori-filosofi ai quali è demandato il governo dello stato. Ogni anima e ogni classe deve avere una forma e disciplina cui corrisponde una determinata virtù: l’anima razionale la saggezza, quella irascibile la fortezza, quella concupiscibile la temperanza. Quest’ultima è importante perché rende possibile i rapporti tra governanti e governati. La giustizia è il principio in base al quale ogni individuo compie l’attività che gli è propria, attua e perfeziona la sua natura. La giustizia si realizza in ciascun individuo come ordine interiore che informa e sostiene le attività del soggetto e le coordina con quelle degli altri membri della comunità. La giustizia è il principio ideale, l’anima dello stato.

La ricerca del fondamento e del principio della giustizia e della sua funzione è compito della filosofia. In posizione centrale, all’inizio del libro VII, c’è il mito della caverna. La Giustizia, come tutta la vera realtà, è fuori della caverna. Nella caverna arrivano solo ombre della realtà esterna. Per capire le ombre bisogna sapere di che cosa sono ombre. Bisogna uscire dalla caverna per capire bene quel che si vede nella caverna. Con il mito della caverna, Platone offre una metafora poetica e molto efficace alla distinzione che la filosofia (Eraclito, Pitagora e Parmenide) ha elaborato fra doxa e alètheia. Bisogna uscire dalla caverna per trovare la giustizia della città e degli individui della caverna. Il problema della giustizia è una questione di conoscenza, di vera conoscenza.

Prima e fondamentale condizione per realizzare la giustizia è la conoscenza della giustizia. La conoscenza filosofica attiene all’intelligenza, alla facoltà che secondo la formula platonica raggiunge le idee attraverso le idee e finisce alle idee.

Platone perviene ad indicare il nesso indissolubile tra politica e filosofia: infatti il problema di intendere l’unità reale della polis e l’ordinamento che vi corrisponde è connesso con il problema della conoscenza e con la fondazione metafisica dell’intelligenza. Lo stato platonico è uno stato di ragione perché governato dalla razionalità: la politica è attività volta a garantire il comando del razionale cui l’irrazionale deve essere sottomesso.

L’uscita dalla caverna non è per tutti. È per pochi. I più restano nella caverna e i pochi che ne sono usciti devono tornare nella caverna. La città giusta va costruita nella caverna. Platone, di origine aristocratica, propone, sotto influenza pitagorica, una rivoluzione aristocratica: l’aristocrazia trova la sua origine e la sua legittimazione nel sapere, più che nella nascita. Platone non rinnega l’aristocrazia del sangue: nella sua città ideale i figli delle classi dirigenti, i figli dello Stato, se non sono particolarmente inadatti, diventano guardiani e filosofi; i figli dei lavoratori subalterni, nati in famiglia, ereditano la sorte dei genitori, se non hanno doti eccezionali che ne rendano possibile la promozione sociale all’educazione statale. Platone, però, propone come più profondo fondamento dell’aristocrazia il sapere.

Platone è pitagorico: si arriva alla giustizia con la conoscenza e la matematica, che ha, nell’educazione alla vera conoscenza, una funzione fondamentale: determina il distacco dello sguardo dalle ombre e il suo passaggio alla visione degli enti veramente reali, quelli ideali.

Platone propone la funzione educativa della matematica per le stesse ragioni per cui condanna l’arte imitativa, che abitua a prendere sul serio le ombre della caverna e le riproduce, realizzando ombre delle ombre della realtà.

Il distacco matematico dalle ombre introduce all’educazione filosofica. Dagli enti ideali matematici alle idee-valori, fra le quali c’è la Giustizia. Il sapere matematico introduce al sapere filosofico, alla conoscenza del dover essere, del Bene. L’educazione matematica determina il passaggio dall’opinione alla scienza, l’educazione filosofica promuove il passaggio dalla scienza dell’essere (gli enti numerici e geometrici, le Idee della matematica) alla scienza del dover essere (le Idee-valori, al vertice delle quali c’è il Bene).

Platone si serve dell’evidenza che caratterizza il primo passaggio conoscitivo per proporre anche il secondo e ben più decisivo passaggio, dopo il quale la consegna del potere ai filosofi diventa una conseguenza scontata. Se si può raggiungere la scienza del Bene, di cui la Giustizia è parte, se questa scienza ha i caratteri di certezza e di stabilità della scienza matematica, perché non consegnare la città a chi possiede questo sapere?

Il vero, nella sua forma più alta, è il Bene. L’identità di vero e di bene è il principio cardine della filosofia platonica. È dato per scontato, ovvio. Esso fonda la corrispondente identità di sapere e potere, promuove il sapere al potere. È la soluzione di Platone alla crisi di Atene che manda Socrate a morte. È la rivoluzione pitagorica, che ha avuto nella storia europea molte imitazioni.

Compendio stilato dalla studentessa Sofia Morra, Liceo Scientifico Statale Antonio Labriola (RM).

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