il male radicale di Kant, considerazioni

Da La religione entro i limiti della sola ragione

La frase: l’uomo è cattivo, non può, dopo ciò che precede, voler dire altra cosa che questo: l’uomo è consapevole della legge morale, ed ha tuttavia adottato per massima di allontanarsi (occasionalmente) da questa legge. La frase: l’uomo è cattivo per natura significa solo che tale qualità viene riferita all’uomo, considerato nella sua specie: non nel senso che la cattiveria possa essere dedotta dal concetto della specie umana (dal concetto d’uomo in generale, poiché allora sarebbe necessaria); ma nel senso che, secondo quel che di lui si sa per esperienza, l’uomo non può essere giudicato diversamente, o, in altre parole, che si può presupporre la tendenza al male come soggettivamente necessaria in ogni uomo, anche nel migliore. Ora, questa tendenza bisogna considerarla essa stessa come moralmente cattiva, e perciò non come una disposizione naturale, ma come qualche cosa che possa essere imputato all’uomo, e bisogna quindi che essa consista in massime dell’arbitrio contrarie alla legge. Ma, d’altronde, queste massime, in ragione appunto della libertà, bisogna che siano ritenute in se stesse contingenti, cosa che, a sua volta, non può accordarsi con l’universalità di questo male se il fondamento supremo soggettivo di tutte le massime non è, in un modo qualsiasi, connaturato con la stessa umanità e quasi radicato in essa. Ammesso tutto ciò, potremo allora chiamare questa tendenza una tendenza naturale al male, e, poiché bisogna pur sempre che essa sia colpevole per se stessa, potremo chiamarla un male radicale, innato nella natura umana (pur essendo, ciò non di meno, prodotto a noi da noi stessi). Che una tale tendenza depravata sia di necessità radicata nell’uomo, possiamo risparmiarci di dimostrarlo formalmente, data la quantità di esempi palpitanti che, nei fatti degli uomini, l’esperienza ci pone sotto gli occhi.

In questo passo Kant esprime la sua idea riguardo la natura dell’uomo, con la quale si intende soltanto il fondamento soggettivo dell’uso della libertà umana secondo leggi morali oggettive; questo fondamento è anteriore ad ogni fatto sensibile ed è esso stesso un atto di libertà, altrimenti l’uso o abuso che l’uomo fa dell’arbitrio, in rapporto alla legge morale, non gli si potrebbe attribuire,tantomeno potrebbe essere detto il male o il bene intimo in lui. Per questo motivo la tendenza al male non è dovuta all’inclinazione naturale dell’uomo ma soltanto ad una regola che l’arbitrio dà a se stesso per l’uso della propria libertà, una massima; riguardo questa bisogna escludere anche la possibilità di chiedersi quale sia il fondamento soggettivo, secondo il quale l’uomo abbia scelto questa massima piuttosto che quella contraria.

Se questo fondamento non fosse una massima, ma un semplice istinto naturale, l’uso della libertà potrebbe ricondursi ad una determinazione attraverso cause fisiche, rivelandosi contraddittorio. Dicendo questo Kant rifiuta di considerare “il male” una caratteristica naturale dell’uomo, infatti questa non può essere ricavata dal concetto di uomo in quanto tale; al contrario è naturale il libero arbitrio di cui l’uomo gode. Di conseguenza la responsabilità del male operato dagli uomini può essere attribuita a quest’ultimi soltanto. L’uomo è consapevole della legge morale ed ha comunque adottato la massima di allontanarsi da questa legge.

Sostenendo che l’uomo è cattivo per natura intendiamo che tale qualità viene attribuita all’uomo in quanto tale: non nel senso che la cattiveria può essere dedotta dal concetto della specie umana, altrimenti sarebbe necessaria, ma nel senso che, secondo quanto si sa dell’uomo per esperienza, quest’ultimo non può essere giudicato diversamente, o che si può presupporre la tendenza al male come necessaria in ogni uomo, perfino nel migliore. Questa tendenza deve essere considerata essa stessa come moralmente cattiva, quindi non come una disposizione naturale, ma come un qualcosa che si può attribuire all’uomo ed è necessario che consista in massime dell’arbitrio contrarie alla legge. Queste massime in relazione alla regola che l’arbitrio dà a sé per l’uso della proprialibertà, è necessario che siano considerate contingenti in sé stesse, cosa che non può aggregarsi con l’universalità di questo male se il fondamento supremo soggettivo di tutte le massime non è congenito con la stessa umanità e quasi radicato in essa. Avendo ammesso ciò, potremmo chiamare questa naturale tendenza al male, poiché è necessario che essa sia colpevole per sé stessa, un male radicale innato nella natura umana (pur essendo prodotto a noi da noi stessi).

Riflessione stilata dallo studente Riccardo Bigioni, Liceo Scientifico Statale Antonio Labriola (RM).

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