Sunday Bloody Sunday

cinquant’anni fa la strage di civili in Irlanda del Nord

Sul finire degli anni Sessanta il clima politico e sociale dell’Irlanda del Nord era divenuto assai teso. Il conflitto che opponeva sostenitori appartenenti alla provincia del Regno Unito e fautori della riunificazione all’Irlanda aveva raggiunto livelli di massima allerta, scaturite in manifestazioni violente e rivolte popolari. Le due fazioni politiche si dividevano in unionists, appartenenti alla classe media cittadina e di formazione protestante e i nationalists, di estrazione cattolica e legati fortemente alle loro radici irlandesi. La città di Derry, in Irlanda del Nord era considerata da entrambi i gruppi il simbolo del “malgoverno unionista irlandese”.

Al centro delle polemiche le carenti strutture e i mancati investimenti da parte del governo in scuola, infrastrutture e nel patrimonio immobiliare. La città irlandese divenne quindi un punto di riferimento per le tante campagne di diritti civili condotte da entrambe le organizzazioni. Nel 1969 già ci furono le prime avvisaglie con la famosa “battaglia di Bogside”, in quella occasione il governo irlandese fu costretto ad inviare truppe militari a sostegno della polizia locale. Per contrastare l’escalation di violenza esplosa nel paese, il 9 Agosto del 1971 fu avviata la cosiddetta Operazione Demetrius, che prevedeva il cosiddetto “internamento”, cioè l’arresto senza processo per i cittadini ritenuti pericolosi. In tutta la nazione esplosero numerosi disordini che portarono alla morte di 21 individui.

A Befalst soldati del Reggimento dei Paracadutisti uccisero undici civili in quello che passò alla storia come il massacro di Ballymurphy. I rapporti tra cattolici e nazionalisti contro l’esercito irlandese continuavano a deteriorasi, un mese dopo l’Operazione Demetrius fu uccisa la studentessa quattordicenne Annette McGavigan. In parallelo l’attività dell’organizzazione armata I.R.A ( Irish Revolution Army) si intensificò uccidendo ben trenta soldati dell’esercito irlandese. Il gruppo armato nazionalista stabilì delle zone di accesso interdetto per l’esercito britannico, nella cittadina di Derry, chiamate con il nome di “no-go area”, utilizzando delle barricate. La zona predisposta fu ribattezzata “Free-Derry”. Nel gennaio del 1972 la cittadina irlandese contava ben 29 barricate invalicabili, irraggiungibili anche dagli stessi veicoli corazzati britannici. Il 18 Gennaio 1972 il governo unionista guidato dal primo ministro Brian Faulkner proibì per un anno tutte le manifestazioni e cortei in città. Nei giorni seguenti si susseguirono numerose manifestazioni anti-internamento. Per evitare ulteriori disordini il generale Robert Ford, comandante dell’esercito irlandese capo del Regimento dei Paracadutisti diede ordine di arrestare il maggior numero di rivoltosi. L’operazione fu chiamata “Operazione Forecast”. I paracadutisti arrivarono a Derry il 31 Gennaio 1972. Lo stesso giorno fu organizzata da parte dei protestanti un imponente manifestazione in città. I manifestanti aveano pianificato di marciare dal Bishop’Field, nel quartiere residenziale di Creggan, sino al municipio di Derry, dove si sarebbe svolto il raduno. La marcia parti alle ore 14.45 contando circa 15000 partecipanti. Una volta arrivati al centro della città, i manifestanti furono bloccati dalle barriere dell’Esercito britannico, alcuni di loro decisero di deviare il percorso verso il Free-Derry Corner, mentre altri cominciarono a lanciare pietre contro i soldati britannici. L’esercito rispose lanciando proiettili di gomma e getti d’acqua. La tensione sali alle stelle quando alcuni manifestanti notarono alcuni paracadutisti appostati sui tetti del palazzi in William Street. La manifestazione esplose in violenza , al lancio di pietre e sassi contro le finestre dell’edificio, i paracadutisti decisero di aprire il fuoco contro i civili. Due cittadini, Damien Donaghy e John Johnston furono colpiti e feriti mentre manifestano dinanzi alla palazzina. Nel pomeriggio venne ordinato ai paracadutisti di oltrepassare le barriere e arrestare i rivoltosi. Nel violento rastrellamento furono investiti due civili e non fu fatta nessuna distinzione tra manifestanti pacifici e ribelli. Un gruppo di militari si posizionò nei pressi di un muretto a circa 70 metri di distanza da una barricata che si estendeva lungo Rossville Street. I soldati aprirono il fuoco uccidendo sei persone e ferendone una settima.

Molti manifestanti trovarono rifugio nell’area di Rossvile Flats, ma i soldati continuarono la loro operazione uccidendo un civile e ferendone altri sei. Nell’area di Glenfada Park ci furono quattro vittime e altrettanti feriti. Alcuni civili feriti gravemente furono trasportati in ospedale, mentre le vittime furono caricate sui veicoli militari britannici. Il bilancio fu drammatico, la manifestazione contò ben 13 vittime tra i quartieri di Rossville e Glenfada Park. I soldati furono accusati di aver aperto il fuoco in maniera spontanea e non autorizzata, colpendo anche i manifestanti pacifici, mentre le alte cariche dell’esercito britannico dichiararono di aver aver aperto il fuoco solo nei confronti dei manifestanti più violenti. La maggior parte delle vittime aveva tra i 17 e i 22 anni. Nell’agosto 1973, in seguito all’inchiesta aperta sulle cause della morte dei manifestanti, il maggiore dell’esercito britannico Hubert O’Neill ammetterà tutte le colpe dell’esercito britannico ricordando quella domenica come la “Bloody Sunday” del popolo irlandese. Una ferita che a distanza di cinquant’anni rimane ancora profonda e sanguinante, da cui sono state tratte anche opere cinematografiche e musicali. Nel 2002 la pellicola cinematografica del regista Paul Greengrass fa un attenta analisi su quella maledetta “domenica di sangue”, mentre la rock band irlandese degli U2, ha dedicato il suo brano “Sunday Bloody Sunday” a tutte le vittime innocenti di quel 30 Gennaio 1972.

di Sergio Cimmino,
Proprietà letteraria riservata©

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