la questione lavorativa in Marx

Marx riflette sull’importanza che il denaro ha nella vita dell’uomo. Esso viene visto come il ponte tra la vita e i mezzi per viverla. Il denaro permette all’uomo di superare i suoi limiti naturali perché la ricchezza può dare accesso a qualsiasi cosa sia acquistabile. Così chi non brilla per una determinata caratteristica può trovare i mezzi per superarla e ambire a qualcosa di più rispetto a quello che la natura gli ha dato (esempio dell’uomo brutto con la donna bella). Il modo in cui si procura questo guadagno è influenzato dal tipo di lavoro che l’uomo costruisce per averlo. Il lavoro genera anche una serie di rapporti sociali, in cui l’uomo è sia individuo sia parte della collettività. Il lavoro viene diviso e spesso l’interesse del singolo non coincide con l’interesse della collettività a cui partecipa. L’interesse collettivo viene a coincidere con lo Stato. In esso ogni classe spera di primeggiare e di avere un ruolo di primo piano che le permetta di dare allo Stato la sua impronta.

L’uomo sconfitto si illude di trovare consolazione nella religione, ma essa è solamente un’illusione. Per abbandonare queste illusioni è necessario rendere reale la felicità e per farlo significa sovvertire il sistema sociale che ha prodotto qualunque forma di illusione in cui l’uomo di una determinata epoca vive (cfr. abbattimento del sistema feudale). Lo Stato non è dunque qualcosa che viene imposto dall’alto o dall’esterno, ma è un prodotto della società che lo compone che ha raggiunto o meno un certo livello di sviluppo. Esso è solo un mezzo per mantenere l’equilibrio tra queste classi che sarebbero continuamente in lotta tra loro per raggiungere la potenza. La potenza, basandosi sul potere economico, è garantita per coloro che sono riusciti a dissolvere le illusioni e, attraverso il controllo della propria forza-lavoro, sono riusciti a dominare il mercato, tenendo in scacco le classi antagoniste. Il fatto di possedere dei beni, di avere delle proprietà non è di per sé sbagliato. Diventa un problema nel momento in cui il possederli si trasforma in un modo per schiacciare gli altri. Nell’epoca di Marx è la classe borghese quella ad avere la potenza economica, mentre la classe proletaria è quella sottomessa, ma che produce ciò che serve alla classe borghese per garantire il mantenimento della ricchezza. Il denaro che la classe operaia ottiene attraverso la propria forza-lavoro finisce per non essere sufficiente nemmeno per garantirle una vita felice, nonostante la maggior parte di essa sia spesa in fabbrica.

La quantità di tempo speso a lavoro e di energia impiegata non viene a coincidere con la quantità di denaro guadagnata. Inoltre la produzione industriale prevede un lavoro alienante e che non dà soddisfazione al lavoratore, anzi lo rende infelice. Il fatto, poi, che alcuni capitalisti si comportino in modo apparentemente corretto non fa altro che amplificare le illusioni del proletario che quasi si ritiene fortunato rispetto agli altri membri della classe a cui appartiene che subiscono il controllo scostante e ingiusto di altri padroni. La classe operaia ha bisogno di una rivoluzione, di abbattere le illusioni di cui si nutre e di comprendere la propria forza che non sta solo nel fatto di essere più numerosa rispetto alla classe borghese, ma nel fatto che è la sua forza-lavoro a far girare l’economia. Deve sviluppare, dunque, una coscienza di classe, la coscienza della propria potenza che deve rimettere in equilibrio un mondo che premia non chi lavora di più, ma chi è capace di sfruttare al meglio il lavoro che qualcun altro porta avanti. Non deve accontentarsi di piccoli vantaggi o di piccole concessioni che vengono dai padroni, ma deve lottare per avere il controllo sul proprio lavoro, sul proprio denaro e sulla propria vita, creando una nuova fase dello sviluppo dello Stato. Solo così il sistema potrà essere sovvertito e cambiato e crea un nuovo tipo di interesse collettivo.

Riflessione stilata dallo studente Vittorio Salta, Liceo Scientifico Statale Antonio Labriola (RM).

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