analisi psichica su Hitler

Fra tanti dittatori sanguinari nella storia, Adolf Hitler è sicuramente, oltre che recente, quello che continua a stuzzicare la curiosità di tantissimi studiosi per il ruolo che ha avuto nella Seconda Guerra Mondiale e per come è riuscito a portare la Germania al regime Nazista. Molti psicologi e psicoanalisti, in particolare, hanno voluto approfondire la storia della sua vita per cercare di capire cosa mai avesse spinto lui a compiere tanti crimini contro l’umanità, e cosa abbia spinto tante persone a seguirlo.

Stando alle testimonianze delle persone a lui vicine, Adolf Hitler sembra essere stato un uomo molto freddo e praticamente privo di senso dell’umorismo, con una passione per la morte e la distruzione, attitudine poi definita pulsioni di morte. In un articolo di Ana Maria Sepe, psicologa e psicoterapeuta, è stata proposta una ricostruzione delle teorie di diversi psicoanalisti riguardo questo personaggio, in cui la sua infanzia avrebbe avuto il ruolo di maggiore rilievo: Adolf Hitler nasce nel 1889 da Alois Hitler, padre molto assente, autoritario, spesso dispotico e tendenzialmente violento, con un probabile problema di alcolismo e diverse relazioni extraconiugali e Klara Pölzl, donna descritta come una madre estremamente amorevole e fin troppo protettiva verso i figli, fino quasi ad essere invadente. Ci sono diverse testimonianze della violenza fisica che il padre usava sul figlio Adolf, a quanto pare fin dalla tenera età, consistenti in percosse talvolta di severa entità. Alice Miller, la cui carriera è ricca di pubblicazioni fino al 2010, anno del suo decesso, è la psicoanalista più vicina al tempo presente che ha studiato l’infanzia di Hitler. La vicinanza cronologica fornisce un approccio più moderno dell’analisi rispetto alle teorie degli psicoanalisti vissuti in quegli anni, sebbene la dottoressa Miller non abbia mai incontrato il soggetto in prima persona e la sua analisi sia quindi di «seconda mano». Analizzando i dati biografici, la dottoressa Miller ipotizzò che i maltrattamenti psico-fisici subiti dal bambino Hitler lo abbiano portato ad una assenza di compassione ed empatia, definita cecità emotiva. Questa cecità emotiva dipenderebbe da due fattori, conseguenti alle percosse: il primo è una dissonanza fra la parte emotiva e la parte cognitiva del bambino che percepisce dolore e sofferenza emotiva e fisica, però razionalmente è convinto che le violenze subite siano giuste, perché gli è stato insegnato che le ha meritate oppure che sia ‘per il suo bene’; il secondo fattore è invece l’umiliazione subita, che il bambino riesce a superare solo cercando di annullare la sensazione di impotenza.

L’analisi più completa però, come precedentemente accennato, è stata fornita solo dagli specialisti che hanno incontrato Hitler in prima persona. Quando iniziò a manifestare disagi importanti, in particolare incubi vividissimi, il suo medico curante Eduard Bloch si rivolse al già allora celebre Sigmund Freud, che sottopose Hitler, ancora bambino, alle sue tecniche di psicoanalisi. Dall’analisi caratteriale, Hitler emerge come introverso e solitario, indisciplinato e in generale insofferente alle regole, narcisista, sadomasochista e necrofilo. È necessario precisare che la definizione di necrofilia nell’immaginario collettivo è piuttosto limitata rispetto a quella che Freud gli attribuì e che in seguito venne anche approfondita da Fromm: Erich Fromm infatti con necrofilia identifica un orientamento del carattere sociale (struttura di base del carattere di un individuo comune alla maggior parte dei soggetti di una stessa società o classe) che si manifesta con un’attrazione verso tutto ciò che è morto, malato, marcio o inorganico e riscontra nei soggetti necrofili una passione per la distruzione e per la trasformazione di ciò che è vivo in inorganico, per ricondurlo ad un oggetto. Le sue speculazioni riconducono lo sviluppo della necrofilia ad una crescita impedita, cioè un contesto in cui il soggetto non è stato capace di realizzarsi. Studiando le teorie di Freud, identificherà in Hitler un caso clinico di necrofilia. Naturalmente, un’analisi così complessa non può certo limitarsi ad una simile diagnosi. Freud identificò in Hitler anche un complesso edipico irrisolto, quindi un attaccamento morboso nei confronti della madre e un odio viscerale verso il padre. Tutte le testimonianze raccolte sul rapporto di Hitler con sua madre avvalorano questa teoria, tanto che lo stesso dittatore affermò che la morte della madre gli provocò un dolore profondissimo, mentre la morte di suo padre, quasi nessun sentimento. Attorno all’attaccamento quasi patologico alla madre ruotano una serie di teorie, alcune anche piuttosto fantasiose, fino a sfiorare la leggenda: sebbene derivante da fonti non verificate, riguarderebbe il suo medico, Bloch, come origine inconscia dell’antisemitismo. Alla madre Klara era stato diagnosticato e operato un cancro al seno molto esteso nel 1907, che non fu curato in tempo (e forse in maniera errata) e la portò quindi alla morte; la figura della madre sarebbe stata associata alla Germania, mentre la figura del medico ebreo al veleno ebraico e Hitler avrebbe quindi associato inconsciamente la rovina della Germania agli ebrei. Rimane comunque tutto ciò molto fantasioso, vista l’abbondanza di testimonianze ed evidenze storiche della amicizia fra Hitler e il medico, che sarebbe stato protetto durante il suo espatrio negli Stati Uniti dallo stesso dittatore, il quale continuerà a cercare di mettersi in contatto con lui tramite corrispondenza. In ogni caso, le teorie di Freud sono perfettamente coerenti con il soggetto. Secondo la sua opinione professionale il giovane Adolf necessitava di ricovero e trattamento, ma il padre si rifiutò di dare il consenso perché trovava prioritaria la sua istruzione.

Durante la Seconda Guerra Mondiale i Servizi Segreti americani commissionarono l’analisi psicodinamica della personalità di Hitler a due specialisti, lo psicologo Henry Murray e lo psicoanalista Walter Langer, che lo definirono psicopatico e con tratti di schizofrenia paranoide e lo ipotizzarono impotente, omosessuale represso e con tendenze suicide. Le pulsioni di morte che erano così predominanti nella sua personalità e che furono associate alla necrofilia, infatti, si manifestavano sia verso l’esterno con istinti distruttivi, che verso l’interno con istinti autodistruttivi. “Psychological Analysis of Adolf Hitler: His Life and Legend” è un documento reso pubblico solo nel 1999 che raccoglie le osservazioni di Langer. Esso è diviso in cinque sezioni: le prime quattro riguardano la personalità di Hitler secondo diversi punti di vista (come lui crede di essere, come lo vedono i tedeschi, come lo conoscono i suoi collaboratori e come lui conosce se stesso) e la quinta consiste in una ricostruzione del suo profilo psicologico a partire dai dati precedentemente esposti. Sebbene non sia stato definito completamente attendibile, visto che Langer non è mai entrato in contatto diretto con Hitler, nell’ultima parte che riguarda le ipotesi sul suo futuro comportamento spiccano delle deduzioni piuttosto accurate: tra le otto diverse ipotesi, alcune sono piuttosto generiche, ad esempio “Hitler may go insane” (Hitler potrebbe impazzire) oppure “Hitler may die of natural causes” (Hitler potrebbe morire di cause naturali), altre invece piuttosto specifiche e basate su osservazioni ragionate accuratamente, come “Hitler may fall into our hands” (Hitler potrebbe cadere nelle nostre mani), nonostante Langer stesso definirà la possibilità come “the most unlikely possibility of all” (la possibilità più inverosimile di tutte), oppure “Hitler might commit suicide” (Hitler potrebbe suicidarsi) che, oltre ad essere stata definita “the most plausible outcome” (il risultato più plausibile), fu anche l’effettiva conclusione degli eventi. L’ipotesi più interessante tra i possibili comportamenti di Hitler è sicuramente la possibilità che “German military might revolt and seize him” (L’esercito tedesco potrebbe ribellarsi e sequestrarlo): nelle argomentazioni a supporto viene spiegato il motivo per cui questa possibilità fosse remota, accennando all’influenza che Hitler aveva sul popolo tedesco.

La personalità qui descritta non è assolutamente il tipo di persona che si sceglierebbe mai da mettere al comando di una nazione, quindi sorge spontaneo il dubbio di come lui abbia fatto a raccogliere abbastanza consensi per arrivare al potere. Innanzitutto, lo stesso Freud identificò in lui, fin da bambino, uno spiccato senso del comando (la famosa leadership). Molte moderne teorie psicologiche, supportate anche da studi ed esperienze, mostrano come nei bambini vittime di violenze questa caratteristica si sviluppi come meccanismo di difesa: la leadership e il carisma avrebbero la funzione di rendere il bambino attraente e adorabile, spingendo l’interlocutore ad amarlo e a non volergli fare alcun male. Questo quindi sarebbe stato sfruttato da Hitler come strumento di manipolazione. Si riferiscono inoltre innumerevoli testimonianze di persone affascinate dai suoi occhi, che apparentemente brillavano di una luce particolare che andava ad amplificare il suo fascino. Terreno fertile per questa manipolazione si trovava sicuramente nel popolo tedesco, che era a favore di un capo che riuscisse a reprimere i moti rivoluzionari associati al socialismo; in più Hitler proveniva da un’educazione estremamente autoritaria e caratterizzata da una figura paterna, spesso consona al popolo tedesco.

Bisogna ricorrere nuovamente alle teorie di Freud, secondo cui la personalità che si forma in un simile contesto è estremamente ligia al dovere e quindi con un Super-io predominante. Il Super-io di Freud è la parte della coscienza che si forma a partire dai primi anni, rappresentata dai genitori, e costituisce la morale dell’individuo. La moderna trasposizione delle teorie di Freud sull’Es, l’Io e il Super-io è la tecnica di psicoanalisi chiamata analisi transazionale, una teoria che scompone la personalità in Bambino, Adulto e Genitore. In estrema esemplificazione, il Bambino sarebbe la parte della personalità legata alle emozioni e agli istinti e corrisponderebbe all’Es, l’Adulto la parte più razionale che corrisponderebbe all’Io, mentre il Genitore racchiude l’etica, la morale, il senso del dovere, tutte le regole che permettono di separare il giusto dallo sbagliato e corrisponderebbe al Super-io. Tornando alla Germania degli anni Venti e Trenta, lo sviluppo di un Super-io molto forte e la sua proiezione sulle figure autoritarie al potere (secondo l’interpretazione di Fromm), avrebbe spinto il popolo tedesco a trovare in Hitler una figura affidabile.

Nessuno che abbia mai indagato l’umanità dietro gli orrori della Seconda Guerra Mondiale si è mai capacitato di come un essere umano possa arrivare a tanto, quindi è sempre stato più semplice definire Hitler un mostro. Una psiche così lacerata, con le giuste condizioni è stata capace di fare un danno così grande all’umanità da non guadagnarsi pietà, ma disgusto. Questa stessa storia, se non fosse la vita di un dittatore sanguinario ma di un anonimo bambino vittima di violenza domestica finita in tragedia, sortirebbe lo stesso effetto?

Riflessione stilata dalla studentessa Federica Filippi, Liceo Scientifico Statale Antonio Labriola (RM).

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