critica al comunismo

Il Manifesto del partito Comunista viene steso nel 1848 da Marx ed Engels, personalità rappresentative della Lega dei comunisti, fondata nell’anno precedente. Marx, espulso da Parigi e dal Belgio su richiesta del governo dopo la pubblicazione del Manifesto, sostiene nell’opera la necessità di distinguere le lotte tra le classi sociali durante gli anni della storia dell’uomo.

Il Manifesto, composto da un breve prologo e da quattro sezioni (Borghesi e proletari, Proletari e comunisti, Letteratura socialista e comunista, Posizione dei comunisti di fronte ai diversi partiti di opposizione), unisce la teoria (contenuta nei Manoscritti economico- filosofici e nel Capitale) alla pratica, coniugandole implicitamente affermando che: uno spettro si aggira per l’Europa, lo spettro del Comunismo. Secondo Marx fin da quando esiste la società umana, è sempre esistita la lotta tra fazioni, la borghesia capitalista della metà dell’Ottocento ha solo semplificato queste contrapposizioni: “La storia di ogni società è stata finora la storia di lotte di classe”, e ancora: “La nostra epoca, l’epoca della borghesia, si caratterizza però per la semplificazione delle contrapposizioni di classe. L’intera società si divide sempre più in due grandi campi nemici, in due grandi classi che si fronteggiano direttamente: borghesia e proletariato”.
Possiamo quindi affermare che Marx ed Engels non discutono affatto i meriti della classe borghese, riconoscendo anzi il ruolo fondamentale che essa ha avuto nello “spezzare” le catene del dominio feudale. Secondo i due studiosi la borghesia “ha messo lo sfruttamento aperto, spudorato, diretto e arido al posto dello sfruttamento mascherato di illusioni religiose e politiche”. Il dominio borghese può sussistere però solo come rivoluzione “perenne” che investa sugli strumenti di produzione e sui rapporti di forza economici.

Per questo motivo è necessario che un’altra classe, generata dalla stessa borghesia, assuma il potere all’interno della società: il proletariato (“La borghesia non ha soltanto fabbricato le armi che le porteranno la morte, ha anche generato gli uomini che impugneranno quelle armi: gli operai moderni, i proletari”). L’idea della società che vede una lotta continua tra le classi sociali è una testimonianza storica cruciale. È meno condivisibile invece, in un ottica moderna, l’eliminazione delle differenze economiche tra privati. Il comunismo è il più grande nemico mai inventato della responsabilità individuale di ogni persona, mira ad annullare qualsiasi realizzazione personale. Una volta che si riesce a vedere questo chiaramente, si riusciranno a comprendere anche gli scopi che stanno dietro a tutte le politiche guidate da questa ideologia, che all’apparenza potrebbero sembrare inspiegabili.

Ogni politica comunista, dal salario minimo all’assistenza sanitaria, fino al controllo degli affitti, è pensata per minimizzare e contrastare il fattore della responsabilità personale. Al contrario, gli individui che si assumono la responsabilità personale, diventano leader, ispirando gli altri a porsi a loro volta al comando della propria vita. Gli effetti positivi di una maggiore responsabilità personale sono evidenti: ogni grandiosa invenzione, ogni opera d’arte, ogni innovazione nel campo medico, ogni autostrada, ogni nuova attività che crei ricchezza, e ogni grande risultato sportivo si è potuto materializzare grazie a individui con personalità innovative e con spirito imprenditoriale.

Queste sono le persone che guidano la società verso conquiste sempre più grandi, migliorando la qualità generale della vita. Uno dei motti del Comunismo è: “Da ognuno secondo le sue capacità, a ognuno secondo i suoi bisogni”, ma se le persone vengono obbligate con la forza a dare i frutti del proprio lavoro ad altri che non hanno saputo produrre, saranno di conseguenza meno incentivate a produrre. La ridistribuzione forzata della ricchezza da parte del socialismo porta invece corruzione e degrado. In tale sistema, chi fornisce la ricchezza diventa schiavo di forze che sfuggono al suo controllo, e naturalmente, trova faticoso lavorare per degli sconosciuti: non ha alcuna relazione personale con i suoi beneficiari e, nel vedere la sua stessa ricchezza messa a disposizione di altri, si sente spogliato delle sue capacità. Viene privato di tutte quelle sensazioni di gratitudine e di gioia derivanti dal donare di propria spontanea volontà, e per questo perde quell’incentivo a sforzarsi per dare agli altri, e questo accresce potenzialmente il suo senso di amarezza e di risentimento.

Il ‘beneficiario’ allo stesso modo non acquisisce né nuove capacità né nuove idee dal suo ‘benefattore’. Inoltre, non prova alcun senso di orgoglio né di realizzazione nell’assumersi responsabilità nei confronti della propria vita e della propria famiglia; quindi, può sviluppare un senso di amarezza e andare all’estremo pensando che tutto gli sia dovuto per mascherare quella profonda sensazione di disprezzo verso sé stessi che può emergere se si dipende dagli altri. La libertà crea quindi le condizioni per il progresso; la responsabilità personale è il motore che trasforma il potenziale in realtà. Quella di una maggiore responsabilità personale è la strada verso ricchezza in abbondanza, verso scelte migliori e verso una vita più significativa e produttiva.

Riflessione stilata dallo studente Samuele Flaiban, Liceo Scientifico Statale Antonio Labriola (RM).

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