Volere l’eterno ritorno

La volontà di potenza di Nietzsche, il testo, l’opera, risulta la summa del pensiero del filosofo tedesco; con questo modestissimo intervento analizzeremo il concetto di eterno ritorno dell’uguale partendo da due prospettive diverse, che forse si potranno unire successivamente. Oltre che tratteggeremo il rapporto fra l’eterno ritorno dell’uguale e la volontà di potenza.

Per prima cosa, nella sua formulazione più pacata, l’eterno ritorno dell’uguale significherebbe: in un sistema chiuso, l’universo, con un tempo infinito le combinazioni possibili necessariamente dovranno ripetersi, identiche. La seconda impostazione vede il concetto a partire dalla critica degli eterni, del dover essere, e qual è l’essere che più è? oltre che Dio? Il passato, così anche il passato, il così fu, non può essere un essere pieno, satollo, definitivo, ergo la linea temporale che si caratterizza come possibilità, il futuro, dovrà inerire anche al passato; ovvero la libertà deve esserci tanto nel futuro che nel passato, libertà intesa come innocenza, non già Kantianamente parlando. In quale visione il passato può essere riscrivibile? In una visione del tempo circolare.

Per quanto concerne l’opera, essa si costituisce come una raccolta di aforismi, opera la cui situazione editoriale ne abbiamo già profusa. L’opera tratta del nichilismo, ovvero del tramonto dei valori, della negazione persino del bene e del male; nichilismo nato proprio a partire dalla morale cristiana, «che si volge contro il Dio cristiano (il senso della veracità, altamente sviluppato dal cristianesimo, prova nausea di fronte alla falsità e alla menzogna di tutte le interpretazioni cristiane del mondo e della storia)».

In un senso, quasi Hegeliano, ove dalla tesi nasce l’antitesi, da questo sentimento di nausea nasce il nichilismo ovvero la concezione che tutte le interpretazioni del mondo siano false; conseguenza «logica» dei valori dell’esistenza. Il nichilismo significa: «i valori supremi sono svalutati. Manca lo scopo. Manca la risposta alla domanda: dove?». Di nuovo diviene difficile per l’interprete comprende Nietzsche, da un lato il filosofo ha sempre criticato il cristianesimo, eppure, tralasciando gli entusiasmi proferiti nella vita quotidiana e personale, ne riconosce il valore, da un punto di vista filosofico, il valore di aver arginato proprio contro il nichilismo, che, di nuovo, potrebbe essere elogiato seguendo un’interpretazione facile, ma si rivela una forma di decadenza, di stanchezza di vita.

Va da sé, il nichilismo non è causa della decadenza, ma conseguenza, la corruzione dei costumi, la vigliaccheria profusa nella società – si pensi cosa avrebbe potuto sostenere il grande filosofo della nostra situazione. Pur lo scetticismo e il libertinaggio, che potrebbero sembrare così nietzschiani, si rivelano decadenti, un accontentare il sé in maniera vana e superficiale. L’oltre-uomo non è affatto né scettico, né libertino.

La nevrosi, i nervi saturi, la eccitabilità che non possono essere sfogati adeguatamente, costituiscono la società di Nietzsche (o la nostra? Di tanto Nietzsche ha anticipato Freud); i giudizi di valore sono i giudizi degli esauriti. Bisogna perciò reagire: «Io insegno a dir no a tutto ciò che rende debole; io insegno a dir sì a tutto ciò che rafforza, che accumula energia, che giustifica il sentimento della forza»; bisogna opporsi alle masse, molto più di come auspicava Eraclito. Una lotta contro i deboli che vogliono addomesticare i signori della terra, pur il socialismo è niente altro che una morale cristiana mascherata e un fraintendimento infatti: «che altro è se non una balorda incomprensione di quell’ideale morale cristiano? ci saranno sempre troppi possidenti perché il socialismo possa significare altro che un attacco di malattia; e questi possidenti sono come un uomo di una fede: si deve possedere qualche cosa per essere qualche cosa. Ma questo è il più vecchio e il più sano di tutti gli istinti: io aggiungerei: si deve voler avere di più di quanto si ha, per diventare di più. Nella dottrina del socialismo si nasconde malvagiamente una volontà di negare la vita.» Voler possedere significa volontà di potenza.

Heidegger in merito all’eterno ritorno dell’uguale, sostenne: «La difficoltà non è per lui tale che valga la pena di parlarne; infatti, se le due vie scorrono nell’eternità, vanno verso la stessa cosa, quindi vi convergono e si conchiudono in un tragitto ininterrotto. Quelle che a noi sembrano due vie diritte che si dipartono l’una dall’altra, non sono in verità che la parte per ora visibile di un grande circolo che ritorna continuamente su se stesso. Le cose diritte sono una parvenza. In verità il loro scorrere è un circolo, cioè la verità stessa – l’ente, così come esso in verità scorre – è ricurvo. Il ruotare-in-circolo-su-se-stesso del tempo e quindi il continuo ritornare dell’uguale, di tutti gli enti, nel tempo, è il modo in cui l’ente nel suo insieme è.» Le due vie sono il passato infinito e il futuro infinito.

Bisogna rimanere attacchi alla terra, non facendosi ingannare da promesse ultraterrene, fedeli alla terra bisogna essere; così solo l’oltre-uomo comprende che la bellezza che va decantando nelle cose immaginarie, in Dio, è la sua di bellezza: «tutta la bellezza e la magnificenza che abbiamo prestato alle cose reali e immaginate, io voglio rivendicarla come proprietà e opera dell’ uomo: come la sua più bella apologia. L’ uomo come poeta, pensatore, Dio, amore, forza; ammiriamo la sua regale generosità, con cui ha fatto doni alle cose per impoverire se stesso e sentirsi miserabile! Finora il suo maggiore disinteresse fu questo, che egli ammirò e adorò e seppe nascondere a se stesso che egli stesso aveva creato ciò che ammirava.» Si ricordi che quando in Nietzsche si parla di religione, si sta parlando di metafisica: pur della credenza che sostiene che si pensi grazie allo spirito, anche lo spirito è una religione e una menzogna che nega la terra. L’errore, il volere l’errore a tutti i costi (Apollo che vive di apparenze)… un’ingenuità che poi diviene, però, risentimento verso chi è l’espressione di valori certi e aristocratici.

Tornando alla disamina sul divenire e l’eterno, in Zarathustra si legge: «Tu insegni che vi è un grande anno del divenire, un’immensità di anno grande: esso, come una clessidra, deve sempre di nuovo rovesciarsi, per potere sempre di nuovo scorrere, e finire di scorrere.» Secondo me è una prova lampante che bisogna, seguendo la concezione che non può esserci alcun eterno e che il divenire deve essere sempre, sostenere l’eterno ritorno dell’uguale ovvero che nel divenire eterno le cose ritornino eterne, per poter sempre di nuovo scorrere. Come poi si può concludere: «che tutto ritorni è l’estrema approssimazione del mondo del divenire al mondo dell’essere». L’essere è il tutto che diviene sempre sé stesso in eterno.

A concludere bisogna rivelare che certamente l’eterno ritorno potrebbe essere angosciante, in effetti lo è; sentire il peso di ri-vere tutto: «Tutti i progetti dell’uomo devono alla fine cadere, una salita senza fine non è possibile, poiché lo impedisce il tempo senza fine. In esso si esaurisce ogni forza; esso diventa padrone delle volontà più ostinate, spezza le reni anche alle più possenti speranze. Lo spirito della gravità riporta indietro ogni slancio e lo piega nella caduta. Lo sguardo nell’abisso del tempo, e perciò nella vanità di ogni progetto, paralizza, causa una “vertigine” a colui che pensa alla più alte possibilità dell’uomo. È chiaro che di fronte al tempo infinito ogni tempo diventa assurdo, ogni rischio senza motivo, ogni grandezza si rimpicciolisce. Lo spirito della gravità, qui inteso come coscienza dell’infinità del tempo, impedisce il vero protendersi dell’esistenza nell’apertura cosmica del mondo.» Parlando per metafora: «Vidi un giovane pastore rotolarsi, soffocato, convulso, stravolto in viso, cui un greve serpente nero penzolava dalla bocca». L’eterno ritorno dell’uguale soffoca, strozza; cosa può salvare l’uomo? per assurdo la libertà o ancor meglio la volontà, la volontà di accettare tale ineluttabilità e la certezza che se pur ogni cosa che si penserà o compierà è già stata compiuta e fatta molteplici volte, ogni scelta entrerà di petto nell’eternità, sarà eterna, oltre la nostra vita e pur questa nostra vita continuerà a ripetersi. Così bisogna ridere di cuore, con gaiezza di ciò.

Cosa ancora ci dice Nietzsche? «Che accadrebbe se un giorno o una notte, un demone strisciasse furtivo nella più solitaria delle tue solitudini e ti dicesse: “Questa vita, come tu ora la vivi e l’hai vissuta, dovrai viverla ancora una volta e ancora innumerevoli volte, e non ci sarà in essa mai niente di nuovo, ma ogni dolore e ogni piacere e ogni pensiero e sospiro, e ogni indicibilmente piccola e grande cosa della tua vita dovrà fare ritorno a te, e tutte nella stessa sequenza e successione […]. L’eterna clessidra dell’esistenza viene sempre di nuovo capovolta e tu con essa, granello della polvere!”. Non ti rovesceresti a terra, digrignando i denti e maledicendo il demone che così ha parlato? Oppure hai forse vissuto una volta un attimo immenso, in cui questa sarebbe stata la tua risposta: “Tu sei un dio e mai intesi cosa più divina”?» Un pericolo immenso, l’eterno ritorno dell’uguale è un’angoscia, ma anche l’espressione più alta della felicità, della potenza, che viene pienamente soddisfatta. L’essere e il divenire significa l’eterno ritorno dell’uguale; come scrive Deleuze: «Il rapporto sintetico che l’attimo ha con sé in quanto presente, passato e futuro fonda il rapporto con gli altri attimi. L’eterno ritorno è così la risposta al problema del passare; esso perciò non va interpretato come ritorno di un qualcosa, di un uno o di un medesimo. Intendere l’espressione “eterno ritorno” come ritorno del medesimo è un errore, perché il ritornare non appartiene all’essere ma, al contrario, lo costituisce in quanto affermazione del divenire e di ciò che passa, così come non appartiene all’uno ma lo costituisce in quanto affermazione del diverso o del molteplice. In altre parole, nell’eterno ritorno l’identità non indica la natura di ciò che ritorna, ma, al contrario, il ritornare del differente; perciò l’eterno ritorno dev’essere pensato come sintesi: sintesi del tempo e delle sue dimensioni, sintesi del diverso e della sua riproduzione, sintesi del divenire e dell’essere che si afferma dal divenire, sintesi della doppia affermazione. L’eterno ritorno, allora, non dipende da un principio di identità ma da un principio che, per tutti questi aspetti, deve soddisfare le esigenze di una vera ragione sufficiente.»

A culmine di tutto quanto ciò detto, Nietzsche conclude sostenendo, nei frammenti postumi: «La misura della forza del cosmo è determinata, non è “infinita”: guardiamoci da questi eccessi del concetto! Conseguentemente, il numero delle posizioni, dei mutamenti, delle combinazioni e degli sviluppi di questa forza è certamente immane e in sostanza “non misurabile”; ma in ogni caso è anche determinato e non infinito. È vero che il tempo nel quale il cosmo esercita la sua forza è infinito, cioè la forza è eternamente uguale ed eternamente attiva: fino a questo attimo, è già trascorsa un’infinità, cioè tutti i possibili sviluppi debbono già essere esistiti. Conseguentemente, lo sviluppo momentaneo deve essere una ripetizione, e così quello che lo ha generato e quello che da esso nasce, e così via: in avanti e all’indietro! Tutto è esistito innumerevoli volte, in quanto la condizione complessiva di tutte le forze ritorna sempre.»

L’eterno ritorno dell’uguale, come ripetuto più volte, è la volontà che vuole l’essere, l’amor fati di matrice spinoziana; l’eterno ritorno dell’uguale consiste nella «santificazione» del divenire: l’uomo non deve essere pessimista, caduco, coltivare nevrosi o rimostranze, ma se vuole dare un senso, pur se menzognero per le ragioni oramai comprensibili del lettore, deve prendere atto della realtà, accettando l’essere così com’è, accettando Dioniso. Diverrà così padrone del tempo. Diverrà colui che vuole il proprio destino, attivamente. Assumendo gli eventi nella loro pura e semplice casualità, innocenza in quanto sono venuti meno i parametri morali-metafisici con cui giudicare l’essere. L’oltre-uomo è questo, colui che rinuncia alla dimensione morale, rigenera continuamente e ricrea i propri valori in un divenire che sa benissimo circolare, lo sente, lo pensa, lo vuole: 

«Voglio imparare sempre di più a vedere come bello ciò che è necessario nelle cose; allora io sarò uno di quelli che fanno le cose belle. Amor fati: lasciate che sia il mio amore d’ora in poi! Non voglio fare la guerra contro ciò che è brutto. Non voglio accusare; io non voglio nemmeno accusare chi accusa. Guardare lontano sarà la mia unica negazione. E tutto in tutto e su tutto: un giorno desidero essere solo uno che dice sempre di sì.» Tutta la filosofia di Nietzsche risulta un’esplicazione delle due intuizioni Apollo e Dioniso.

di Giancarlo Petrella,
Proprietà letteraria riservata©

One thought on “Volere l’eterno ritorno

  1. Ma dunque se l ‘eterno ritorno riguarda l’ ‘uguale ma non il medesimo,io sono stato e ritornerò ma non sarò più me medesimo bensì sarà un altro uguale al me di adesso .e quindi io non sarò più anche se l’uguale ritorna ma non lo stesso.come si risolve ? Se comunque ogni situazione generale che ritorna riproduce in tutto ogni cosa ? Forse ogni cosa che ritorna non è la medesima per risolvere il problema del passare ,del panta rei ma è uguale e soltanto nuova come riprodotta ed in questo senso diversa .ma io proprio io riscriverò questo commento e non un altro uguale a me ? Come dire ad ogni ritorno viene riprodotto un clone e così via all infinito ma ogni clone non è lo stesso .dunque alla fine viviamo comunque una volta sola anche se ogni clone rivivrà allo stesso modo ?oppure se ogni situazione complessiva riproduce ogni qualità nei minimi particolari riprodurrà anche la nostra coscienza di noi stessi in questo nostro attuale ritorno ?

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *