Marx, il plus valore

Abbiamo visto precedentemente il concetto di struttura e sovrastruttura a cui possiamo allacciare la questione della ideologia. Una delle ideologie più persuasive dell’epoca di Marx è il capitalismo cioè l’accumulo incondizionato di ricchezze, di denaro. Vi è un’opera, la più importante di Marx che s’intitola per l’appunto Il Capitale, il cui primo libro è stato pubblicato quando era ancora in vita; a quest’opera si riallacciano problemi di natura economica, filosofica e, ovviamente, morale. L’ideologia fondamentale del capitalismo è quella che sostiene che sia l’unica realtà possibile, non può darsi un’alternativa. Invece abbiamo visto che secondo Marx esiste una possibile alternativa, che già fu e potrebbe essere (il feudalesimo prima o il comunismo nel futuro). Questa naturalizzazione del capitalismo viene criticata da Marx e siccome egli è un materialista inizia a parlare proprio delle merci.

Iniziamo a parlare del valore d’uso. Ogni merce ha un valore d’uso che è il valore intrinseco, riferito all’uso, un valore che «serve a qualcosa». Vi è poi il valore di scambio, esso viene dato, come dice il termine, dallo scambio, dalla compravendita effettuata con altri beni; abbiamo quindi un confronto con altre merci.

Da un lato abbiamo merci che soddisfano i bisogni umani e hanno un certo valore d’uso, dall’altro abbiamo merci che hanno un valore di scambio proporzionato in base alle ore di lavoro di produzione di quell’oggetto. Per esempio, una sedia prodotta per via industriale che ha bisogno di dieci minuti per essere prodotta presenterà un valore di produzione molto differente rispetto a una sedia creata da un artigiano che ci impiegherà ore. Possiamo aggiungere pur una differenza estetica che però ora non è rilevante.

Il valore di scambio è ciò che accomuna differenti merci. Per quanto possa essere differente una merce rispetto a un’altra comunque vi è sempre un tot di tempo per produrla, generarla, crearla. Non va confuso, però, il valore di scambio ed uso col prezzo della merce o prezzo di mercato, perché questo oscilla in base ad altri fattori come la scarsità o l’abbondanza dei prodotti, la disponibilità del mercato ecc.; c’è sempre un legame fra questi elementi, ma adesso non è pertinente.

Proprio in questi discorsi si instaura la questione del lavoro dell’uomo, del proletariato. Il capitalista certamente paga il proletario singolo con un salario, ma lo paga in un modo non equivalente al valore che produce. I suoi costi essenziali di mantenimento coincidono col suo salario; cioè il capitalista paga l’operaio abbastanza per garantirgli il mangiare, il dormire, il sopravvivere generale e dunque i mezzi per lavorare, pur non paga l’effettivo valore di quello che viene prodotto; possiamo vedere che quindi v’è uno «scarto» a monte. Quindi il valore di scambio è generato dalla quantità di ore necessarie di lavoro per produrlo e dunque dipende dal proletario. A sua volta il valore del proletario consiste nei mezzi necessari per il suo sostentamento, che è equivalente al suo salario.

Precedentemente abbiamo parlato di uno scarto, che esiste perché c’è un accumulo di ricchezza da parte del capitalista. Vi è un valore della forza che produce e che non è retribuito nel salario: questo scarto viene chiamato plus valore, ed è quello che dà origine al profitto del capitalista. Qui si instaura il discorso di una variabile costante e una variabile invece instabile, non costante. La variabile costante potrebbero essere, ad esempio, i costi riguardo i macchinari, le bollette, l’elettricità e quant’altro. Invece la variabile che varia potrebbe essere il salario del lavoratore stesso.

Trascrizione di una lezione su Marx.

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