Gentile, l’atto del pensare

Parafrasando il primo capitolo, La soggettività del reale, della Teoria generale dello spirito come atto puro, si evince che la realtà non è pensabile se non in relazione diretta con l’attività pensante per la quale è pensabile; essa non è un oggetto possibile, una mera possibilità, ma oggetto reale, concreto, attuale di conoscenza (Cfr. T, p.3). Il presupposto affinché la realtà sia pensabile è il concepire prima-di-tutto la mente in cui tale realtà si rappresenta; non si dà, ed è assurdo, il concetto di una realtà materiale (cfr. ibidem). Tale concetto, di sostanza materiale, corporea, estesa, di corpi, cioè di ciò che in generale si presuppone fuori della mente, è una contradictio in adiecto: «noi possiamo parlare soltanto di cose che sono percepite, e sono quindi oggetti di coscienza, idee» (p. 3).

È possibile immaginarsi qualcosa esistente fuori della mente, tuttavia, proprio in quanto immaginato, tale cosa vive nella mente (cfr. ibidem). Ogni concetto, come tale, è nella mente. Ogni riflessione si muove nell’elemento della fede incrollabile dell’effettività del pensiero (cfr. A, p.11); la medesima certezza spontanea di tale fede si attua quando ogni ente presupposto prima, sia ontologicamente che cronologicamente, del pensare si rivela tale proprio in quanto pensato. Quando si ipotizza l’esistenza di un qualcosa fuori della mente, proprio in quanto pensiamo tale situazione, con il pensarla, neghiamo quel che pensiamo (cfr. T, p. 5); ciò avviene anche se «ci dimentichiamo di noi stessi che siamo presenti [il corsivo è nostro] a quest’atto.» (ibidem) Con l’atto di pensare un qualcosa fuori della mente, inevitabilmente, «neghiamo in atto l’affermazione che vogliamo fare intervenendo, e non potendo a meno d’intervenire là dove ci presumiamo assenti.» (ivi, pp. 5-6)

Il pensabile non è oggetto di un soggetto unilaterale. Il pensiero da noi evocato non è il pensiero inteso qual risultato soggettivo di un soggetto-pensante, il mio-pensiero, il tuo-pensiero, cioè l’oggetto del pensiero, il suo non essere soggetto, l’astratta oggettivazione (cfr. A, p. 12), ma il pensiero qual soggetto, qual pensiero reale, quale atto, concreto. Il pensiero concreto è il solo pensiero che realmente sia pensiero, di cui si può affermare la verità, non già il pensiero astratto (ibidem).

Il pensiero astratto, l’oggetto del pensiero, l’astratta oggettività, non è pensiero reale; l’oggettività attribuitagli non è «la concreta oggettività che di fatto gli si conferisce affermandolo, cioè pensandolo, ma un’interpretazione inadeguata di essa per opera di astrazione.» (ivi, pp. 12-13). Erroneamente si ritiene che il nostro-pensiero sia oggettivo in quanto pensato, in quanto pensabile, poiché è un pensato, un non-più, o un pensabile, un non-ancora, tale pensiero è un non-atto, un non-realizzato; tutta l’oggettività che si crede di conferirgli nel considerarlo come un dato, come un fatto, come un oggetto, si rivela un’astratta oggettività, un non essere concreto. Viceversa, nell’atto stesso di pensare tale pensiero come oggetto, lo oggettiviamo, lo poniamo in atto, viene posto il pensiero oggettivamente, viene realizzato (cfr. ivi, p. 13). «Un pensiero nostro, ma già pensato, non si ripensa se non in quanto si rivive nel pensiero attuale; e ciò solo e in quanto esso non è il pensiero d’una volta, distinto dal pensiero presente, ma lo stesso pensiero attuale.» (ibidem) Il pensiero d’una volta, il pensiero non-presente, il pensato, rivive in quanto ri-pensato nel pensiero attuale, nel pensiero presente; esso non è più il pensiero distinto dal pensiero presente, ma lo stesso pensiero in atto; pur se provvisoriamente (ibidem).  Provvisoriamente in quanto una volta che tale pensiero non viene ripensato, realizzato, posto oggettivamente, diviene un pensato, un pensiero d’una volta; un pensiero la cui oggettività è astratta. Come avviene che per pensare un pensiero altrui bisogna comunque pensarlo, intenderlo (scorgendone e riconoscendone il valore), (ibidem) e dunque esso non è più un pensiero-altrui, ma un pensiero; così il pensiero d’una volta, pur se pensato come passato, nell’atto stesso del pensarlo esso rivive, si realizza, è un pensiero presente.

In questi termini è impossibile concepire il pensiero come un dato trascendentale, un assoluto, un eterno, una sostanza immutabile. Si presenterebbe, nel concepire tale pensiero assoluto, la medesima situazione che è stata evidenziata precedentemente fra il pensare ed una realtà materiale (quasi-pensiero): di fronte al pensare si presenterebbe un qualcosa che lo condiziona, che non riceve da esso uno sviluppo in quanto, tale realtà sostanziale, è già compiuta; essa «non riceve incremento dallo sviluppo del pensiero.» (T, p. 5) Concepita tale realtà trascendentale, non sarà più possibile concepire il pensiero umano: «una realtà che, di fronte il pensiero, non cresca, non continui a realizzarsi, è una realtà la quale non si può concepire se non escludendo la possibilità di concepire questa presunta o apparente nuova realtà, che sarebbe il pensiero.» (ibidem) Modificando il detto di Nietzsche, “se esistesse il pensiero divino, che resterebbe da pensare!”

Il pensiero altrui pensato diviene, pur se provvisoriamente, un nostro pensiero; lo rendiamo nostro: il pensarlo lo rende un nostro-pensato (cfr. A, p. 13). Nel L’atto del pensare si sostiene: «pensare un pensiero (o porre il pensiero oggettivamente) è realizzarlo; ossia negarlo nella sua astratta oggettività per affermarlo in un’oggettività concreta, che non è di là dal soggetto, poiché è in virtù dell’atto di questo.» (ibidem) Dunque, anche l’altrui pensiero, una volta che lo penso, non solo pensandolo lo ri-realizzo, lo ri-rendo presente, ma lo rendo mio; ovvero un non-di-là da me, da me che lo penso.

Abbreviazioni delle opere di Giovanni Gentile citate
A = L’atto del pensare come atto puro
T = Teoria generale dello spirito come atto puro

di Giancarlo Petrella,
Proprietà letteraria riservata©

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