Premesse e differenze con La Pura

Chiave di volta è la distinzione tra intelletto e ragione, ovvero fra il conoscere e il pensare, quasi specchio della distinzione tra fenomeno e noumeno: fra ciò che appare, «a noi», e cioè che è, «in sé». Quando Kant delimita la conoscenza oggettiva stricto sensu (il fenomeno, il sapere delle scienze naturali, l’intelletto), spalanca lo spazio infinito della ragione, pensiero volto al sovrasensibile, alla totalità in quanto tale.

da La Critica della ragion pura

Ho dovuto dunque eliminare il sapere, per far posto alla fede.

Voglio credere che l’uomo sia libero, a partire dal dis-​oggettivare i tradizionali enti metafisici (anima, mondo e Dio); soltanto nella distinzione tra ambito fenomenico e noumenico è possibile pensare una causalità non meccanica, propriamente diversa da quella dedotta a partire dall’esperienza sensibile e impiegata nelle scienze naturali.
La Critica della ragion pura ha il compito di tracciare i confini della facoltà di rappresentare in generale, dell’uso dei concetti puri dell’intelletto e delle forme dell’intuizione che insieme costituiscono l’esperienza possibile come sfera di conoscenza esclusivamente fenomenica. La Pratica, invece, ci indicherebbe come porci al di la di un mondo principalmente individuale, dell’esperienza singola (pur se condivisibile in quanto trascendentale), simile ad un atomo, e affacciarsi al mondo «vero», il mondo etico contrassegnato dalla problematica del ‘come comportarci’. La ragione pratica risponde alla domanda del chi sei: della personalità.
In un ambito fenomenico non si ha la possibilità dell’immediatezza della percezione interna, testimonianza di realtà esterne effettive, così il mondo noumenico è postulato e viene indicato come regno etico (l’eticità di Hegel?). Noi pensiamo azioni e siamo liberi di scegliere; possiamo pur dispiacerci o felicitarci per azioni compiute; avere sensi di colpa o esserne fieri. Tuttavia sentiremo un profondo disagio, probabilmente, a ritenere ogni nostra azione già scelta, vivere in un mondo determinista, averne la consapevolezza. Questo regno etico, l’ambito morale, è così peculiare che uomini semplici, con poca dimestichezza in ambiti speculativi o semplicemente che esigono una minima astrazione, possono risolvere dilemmi o sentire il peso delle proprie o altrui scelte; quante volte un uomo non acculturato riesce a sentire profondamente in sé l’ingiustizia che un suo pari si sia ingiustamente arricchito? Diviene comunemente inaccettabile che un uomo benestante o ricco non mostri alcun interesse o non abbia un minimo di volontà buona: quante volte si diventa moralisti proprio con i personaggi famosi che non mostrano un adeguato corrispettivo etico al proprio essere famoso? Che uno sconosciuto commetta un crimine non colpisce quanto lo faccia una cosiddetta star, da cui ci aspettiamo il meglio, o quantomeno un bene come permuta ai beni della fortuna avuti.
Gli oggetti non si presentano come essi sono, non vi è perciò immediatezza della percezione, ma si conformano alla struttura della mente per essere recepiti (ivi si ha la Rivoluzione copernicana); inoltre, non si ha il privilegio della veridicità assoluta dei concetti puri, essi hanno una validità oggettiva solo in quanto concetti dell’oggetto in generale (forme di sintesi o condizioni della possibilità dell’esperienza; in riferimento implicito o meno al molteplice della sensibilità), non come conoscenze in sé; pur in un ambito pratico le certezze sarebbero più ineluttabili. Tutto ciò, e lo stesso sistema kantiano, si configura in quel che viene sostenuto nella Pura: «Ogni interesse della mia ragione (tanto quello speculativo quanto quello pratico) si concentra nelle tre domande seguenti: Che cosa posso sapere? Che cosa devo fare? Che cosa ho diritto di sperare?»
Sempre in questo brevissimo sunto, infine possiamo anticipare e sintetizzare sostenendo che per quanto concerne il proficuo rapporto fra etica e religione (fra il cosa devo fare e il cosa ho diritto a sperare), coloro che riconoscono la morale kantiana dell’imperativo categorico ‒ che or vedremo ‒ saranno i membri di una società spirituale, dando vita alla Chiesa invisibile degli uomini di buona volontà; ecco perché la religione consiste ne «la conoscenza di tutti i doveri come i comandamenti divini…con la speranza di partecipare un giorno alla felicità nella misura in cui avremo procurato di non esserne indegni.»

stilato dal docente Giancarlo Petrella

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