la Rivoluzione Russa

Presupposti storici
Durante l’Ottocento vi fu una forte affermazione borghese e liberale e le poche monarchie rimaste concessero costituzioni: l’assolutismo in Europa era ormai parte del passato. In Russia era però ancora in vigore l’antico regime, gli Tsar erano autocrati contro sindacati, scioperi, libertà di espressione e imponevano una giornata lavorativa di undici ore senza alcun giorno di pausa.

Nonostante fosse uno Stato perlopiù agricolo basato sulla borghesia agraria dei kulaki, come accadde nei paesi occidentali, anche nel vasto territorio tsarista vi fu una significativa industrializzazione e una conseguente crescita economica, che però non fu sufficiente a migliorare le misere condizioni di vita contadine.
Il malcontento delle classi operaia e agraria trovò espressione all’interno di due partiti:
● il Partito socialiasta rivoluzionario di Sinistra, per il quale i contadini avrebbero dovuto dar inizio alla rivoluzione russa;
● il Partito operaio socialdemocratico Russo, che proponeva gli operai come vertice della rivoluzione; fondato proprio da Lenin.

In merito al malcontento, scrisse Lev Tolstoj all’Imperatore, Nicola II, che neppure rispose:

 […] Un terzo della Russia si trova nello stato di emergenza, vale a dire fuori della legge. L’esercito della polizia, ufficiale e segreta, continua ad aumentare. Le prigioni, i luoghi di esilio e le colonie penali sono affollate non solo da centinaia di migliaia di delinquenti, ma anche da prigionieri politici, tra i quali sono annoverati anche gli operai. La censura emana divieti insensati […] Mai le persecuzioni religiose furono così frequenti e feroci come oggi […] In tutte le città e i centri industriali si ammassano soldati che, ben forniti di munizioni, vengono mandati contro il popolo. In molte località si è già versato il sangue di fratelli assassinati […].

Dal Congresso di Bruxelles si formarono due correnti all’interno del secondo partito, i bolscevichi guidati da Lenin – rivoluzionari operai e contadini – e i menscevichi guidati da Martov – rivoluzionari borghesi.
Secondo Lenin l’imperialismo era l’ultima fase dell’ormai globale capitalismo, il quale imponeva lo sfruttamento dei Paesi «deboli» da parte di quelli «forti». A causa delle precarie condizioni russe, dovute a un’incompleta industrializzazione e a un regime autoritario e illiberale, si gettarono le basi per dar vita alla Rivoluzione. Questa sarebbe dovuta partire dall’avanguardia del proletariato, ovvero i cosiddetti “rivoluzionari di professione”, i quali avrebbero condotto le classi operaia e contadina in modo da non scadere in semplici azioni contro la classe economicamente dominante. Inoltre i moti si sarebbero dovuti diffondere in ogni Paese secondo i principi dell’internazionalismo proletario.

La prima rivoluzione
La rivoluzione del 1905, volta alla liberazione dal controllo giapponese, ebbe inizio a San Pietroburgo. Nel mese di gennaio una folla pacifica, guidata da un sacerdote ortodosso, raggiunse il palazzo di Nicola II (ultimo della dinastia), il quale utilizzò la Guardia Imperiale per sopprimerla; quel giorno passò alla storia come la domenica di sangue, e Nicola divenne Nicola il sanguinario; “È successo. Lo zar è ben vivo, ma può riposare in pace”, sostenne Nikolaj Varnashov dopoquesti eventi; ovvero: “Oggi, è come se si fosse sparato.”
Dopo tale avvenimento, specialmente nella Russia occidentale, iniziarono ad avere luogo numerosi scioperi e manifestazioni. Nacque la figura del rappresentante delle proteste, i soviet (consigli), che divennero anche centri dell’insurrezione armata.
Nonostante questa rivoluzione non ebbe alcun esito, in quanto non vi fu sufficiente collaborazione, lo Tsar intraprese un percorso di riforme, le quali furono però troppo «timide» per scalfire il suo potere.

Le riforme
Evochiamo le elezioni politiche per la Duma (inizialmente solo organo consultivo della Monarchia) del 1906, finalizzate a un maggior potere legislativo, quasi uno pseudo-parlamentarismo tsarista. L’inefficacia di questa riforma fu dovuta al sottoporre ogni risoluzione al veto di Nicola II; perciò la Duma non fu mai una monarchia parlamentare (come quella inglese), ma si avvicinava agli Stati Generali (pre-rivoluzione francese).
Venne sciolta nel momento in cui le risoluzioni proposte si condensarono in una riforma agraria: qualche politico, come il Ministro degli Interni e il capo del governo Stolypin, si accorse del potenziale danneggiamento dello Tsar. Tuttavia, alcuni agitatori come Lenin, ispirandosi agli scritti di Karl Marx, continuarono a criticare l’Imperatore e le irrisolte tensioni sociali ed economiche furono alimentate dall’ingresso della Russia nella Grande Guerra, riducendo San Pietrogrado ad una polveriera di rabbia e disperazione.

La dottrina di Marx
Il marxismo è una corrente di pensiero sociale, economica e politica basata sulle teorie di Karl Marx e Friedrich Engels; nato nel contesto europeo della seconda rivoluzione industriale e della questione operaia ha ricevuto notevoli e diffuse interpretazioni dai pensatori e, persino, da dittatori. Marx opera nel campo del socialismo per modificare il liberalismo economico e il capitalismo, sviluppando il socialismo scientifico.
Il socialismo, nei suoi caratteri generali, è caratterizzato dalla messa in discussione del principio di proprietà, conseguentemente al rifiuto dell’individualismo liberale, ed è quindi portatore di un radicale mutamento della società. Il socialismo si rivolgeva alle classi sfruttate, proletariato e contadini, promettendo loro un mondo in cui fosse abolito il potere dell’uomo sull’uomo; in questo senso la radice delle ingiustizie sociali era identificata appunto nel capitalismo. Il socialismo scientifico, rispetto agli altri socialismi, è in ogni caso basato su uno studio analitico delle leggi della storia e della società; su questo studio basa argomenti, obiettivi e principi concreti.

Materialismo storico
Esso è la scienza della storia che, ponendo fine a ogni tipo di filosofia finalista, ne ricerca le oggettive caratteristiche materiali. Si incomincia con il considerare che la produzione dei mezzi di sussistenza sia l’attività fondamentale dell’uomo, nonché prima azione storica specificamente umana. Sulla base di questa attività ne individua altre tre: la creazione e la soddisfazione di nuovi bisogni, la famiglia e infine la cooperazione fra più individui. Al contrario di tanti altri, Marx non delinea la coscienza come presupposto dell’uomo, seppur riconoscendole un ruolo fondamentale nella vita, ma come prodotto sociale che si sviluppa in relazione all’evoluzione dei mezzi di produzione e a tutto quello che esse comportano.
La coscienza si manifesta quindi in diverse forme a seconda del processo storico. Ma solo con la successiva divisione tra lavoro manuale e mentale la coscienza può automatizzarsi dal mondo, dando luogo alle forme culturali conosciute. La totalità dell’essere sociale va dunque indagata dalla sfera produttiva.
Questa separazione fra coscienza e condizioni materiali dà luogo all'”ideologia”, l’ideologia svolge un ruolo essenziale, siccome corrisponde all’esigenza delle classi dominanti in un dato periodo storico di presentarsi come classe universale, portatrice quindi di valori universali espressi appunto nell’ideologia. tutta la dottrina socialista marxista è definita dal suo autore non ideologica, poiché vuole mantenere le proprie radici realistiche e storiche.

Dialettica storica
La storia procede, secondo Marx, a partire dalla sfera economica-sociale. Essa è mossa da un processo dialettico, noto come materialismo dialettico, da una contraddizione che genera un conflitto tra forze produttive e rapporti di produzione. Questi ultimi, i rapporti di produzione, sono l’insieme dei rapporti in cui gli uomini entrano durante l’attività della produzione (rapporti sociali, di proprietà, giuridici) e l’insieme di questi rapporti costituisce la struttura, base reale sulla quale si eleva una sovrastruttura, ovvero tutte le altre espressioni umane, culturali, istituzionali. Il conflitto tra questi elementi porta al superamento dei vari momenti storici e l’approdo a nuove civiltà, caratterizzate da altri metodi di produzione e da un’altra opposizione duplice.
Questa si manifesta nella lotta di classe tra la classe sfruttata, quella operaia, e quella dirigente, altro elemento imprescindibile d’ogni epoca, che porta alle svolte epocali, come la rivoluzione francese.

Dottrina economica
Posta sotto analisi la merce si rivela dotata di un duplice valore: d’uso e di scambio. La merce ha infatti contemporaneamente un’esistenza naturale, in quanto mezzo di soddisfazione di un bisogno, e un’esistenza sociale, perché è scambiata sul mercato. Il valore d’uso è determinato dalle caratteristiche qualitative della merce o dall’utilità che assume in determinate società, e si realizza nel consumo; al contrario il valore di scambio si rapporta ad altri valori di scambio in modo proporzionale. Per fare un esempio un vestito si può scambiare con un paio di stivali. Il valore di scambio è fondamentale nell’analisi del capitalismo, poiché dipende dal lavoro sociale, che risulta anch’esso sdoppiato: il lavoro si presenta infatti come azione concreta, ma dal punto di vista del valore di scambio quel che conta è il tempo di lavoro astrattamente e mediamente necessario a produrre la merce. In tal modo il lavoro astratto s’identifica unicamente come tempo di lavoro.
Il valore della merce è dato dalla quantità di lavoro medio sociale necessaria per produrla. Il processo di produzione si sdoppia, in quanto è insieme processo di lavorazione per produrre merci, e processo di valorizzazione attraverso cui il capitale si accresce. La borghesia unifica come una cosa sola questi due processi dichiarandone la loro universalità, mentre “il capitale non è una cosa, ma un rapporto sociale fra persone e prodotto”. Ciò significa che il capitale presuppone e crea una situazione in cui il nesso sociale fra gli individui si realizza attraverso il mercato e in cui i mezzi di produzione sono di proprietà di una singola classe, mentre la classe antagonista è in possesso solamente della propria forza lavoro.
Nel capitalismo la valorizzazione è rapportata alla lavorazione e la funzione del lavoro concreto è di valorizzare il capitale, cioè “lavoro cristallizzato”: “non è l’operaio che utilizza i mezzi di produzione, ma sono i mezzi di produzione che utilizzano l’operaio”. Nel capitalismo domina l’alienazione, il feticismo delle merci che appaiono alla coscienza come cose di per sé valorizzate; ma alla coscienza sono nascosti i processi e i rapporti sociali della valorizzazione (cioè, lo sfruttamento della forza-lavoro). Avviene perciò una personificazione della cosa e una reificazione della persona.

Società comunista
Il filosofo tedesco, Marx, non teorizza esplicitamente le caratteristiche della futura società comunista, ma dà soltanto indicazioni sulla fase di transizione verso essa e la delinea come ipotesi. Sebbene egli sostenga che il comunismo non sia un «essere» delle cose che debba essere instaurato, ma uno «strumento» per abbattere il modo delle cose presenti, il pensatore afferma nella sua opera più importante, il Capitale, come il capitalismo sia destinato a crollare e il comunismo a trionfare.
Marx definisce l’importanza della rivoluzione del proletariato: invece che lasciare che il capitalismo cada per autocontraddizione, e quindi in maniera meccanica, il proletariato deve prendere coscienza della sua forza e, attraverso una rivoluzione violenta, deve abbattere il sistema corrente.
Con la caduta della borghesia, andranno a estinguersi tutte le sue espressioni, quindi lo Stato, la sua cultura e la morale borghese, e le religioni. Prima della nuova società ci sarà un periodo di passaggio durante il quale la classe rivoluzionaria si imporrà e si instaurerà al posto di quella capitalista, facendo emergere la dittatura del proletariato, ancora caratterizzata dal dualismo di classe. Durante questo periodo andranno smantellati tutti i residui del precedente sistema e con la collettivizzazione dei mezzi di produzione e l’abolizione della proprietà privata, si avrà il comunismo autentico, e sparirà allora l’alienazione.
Allora ci sarà il ritorno dell’uomo alla sua realtà sociale. Vi sono in tutto, quindi, 4 fasi principali che impongono la nascita della società comunista: la prima si basa sulla presenza di un nemico comune da abbattere e che opprime, il Capitalismo; la seconda si basa sulla rivoluzione del proletariato e la caduta dello stato; la terza che si fonda sullo smantellamento del sistema a capitali e l’instaurazione della dittatura del proletariato e l’ultima si radica sulla collettivizzazione dei beni e l’abolizione della proprietà privata, dando origine al comunismo.

La rivoluzione di febbraio
Lacerato dalla fame e dalla guerra, il popolo russo di San Pietrogrado, nel febbraio 1917, iniziò la rivoluzione. Lunghe code si formano davanti ai negozi di generi alimentari, in piedi con 15/20 gradi sotto zero, per acquistare pane e latte.
La borghesia e i lavoratori, vittime di miseria e sfruttamento, reagiscono con ondate di scioperi e proteste. L’8 marzo, i disordini aumentano: 90.000 abitanti, tra lavoratrici donne e operai, protestano contro un governo incapace e gridano: khleb (pane). Nel secondo giorno, violenti comizi in tutte le fabbriche, 200.000 dimostranti scendono per le strade agitando bandiere rosse e protestando per la fine dell’autocrazia.
Lo Zar è assente dalla città, si trova al fronte per dirigere le operazioni di guerra; la zarina gli telegrafa: ”giovinastri e teppisti corrono per le strade, gridando che non c’è pane, solo per creare scompiglio; bisogna vietare severamente agli operai di scioperare, altrimenti verranno mandati al fronte”. L’ordine a San Pietrogrado è affidato al generale Chabalov, che dispone di 160.000 uomini per fronteggiare i disordini; l’ordine è di aprire il fuoco sugli assembramenti che rifiutano di sciogliersi. Il 10 marzo, terzo giorno di proteste, scioperarono 240.000 operai, studenti, trasporti pubblici e quant’altro. Gli intellettuali furono i primi nemici dello Zar, ed ora, vedono nella sommossa operaia, uno spiraglio di luce e speranza per una Russia repubblicana e democratica.
Improvvisamente, la polizia apre il fuoco e alcuni dimostranti rimangono senza vita. Domenica 11 Marzo, giorno decisivo: i protestanti assaltano e danno fuoco alle centrali di polizia e uccidono poliziotti. Chabalov ordina il ritiro della polizia e l’invio dei soldati. In numero sempre maggiore, i soldati si rifiutano di sparare sui loro padri e fratelli e anzi, difesero i dimostranti, sparando contro i reggimenti alleati.
L’esercito è il protagonista del quinto e ultimo giorno della rivoluzione: i soldati escono dalle caserme per unirsi ai dimostranti, dando loro armi e autoblindo; gli insorti si impadroniscono presto della città. Detenuti politici vengono liberati dagli insorti, funzionari e ufficiali zaristi vengono arrestati dai soldati. Chabalov, con i pochi soldati rimasti fedeli allo zar, prova un ultimo tentativo per opporsi alla rivoluzione, ma fallisce.
Al Palazzo d’inverno, vengono distrutte insegne imperiali e zariste e sul palazzo viene innalzato un rettangolo di cotone rosso. In 5 giorni, il popolo di San Pietrogrado ha abbattuto il regime zarista, al prezzo di 1455 tra morti e feriti; questa è la rivoluzione di febbraio (che si svolge tra il 23 e il 27 febbraio secondo il calendario russo, in ritardo sul nostro di 13 giorni).

La Rivoluzione di Ottobre
Precisazione; le date menzionate sono sfalsate poiché, prima del 1918, in Russia vigeva il calendario giuliano, arretrato di tredici giorni rispetto a quello gregoriano, il calendario introdotto da papà Gregorio XIII nel 1582 e che ancora oggi vige in Europa occidentale.
Nel 1917, il comandante dell’esercito, il generale Lavr Georgievič Kornilov, tentò di impossessarsi del governo. Per fermarlo, Kerenskij (moderato a capo del governo provvisorio) chiese aiuto ai bolscevichi che organizzarono un esercito popolare e misero in fuga le truppe di Kornilov ottenendo l’approvazione del popolo. Lenin decise così di tornare dalla Finlandia in Russia e il 10 ottobre si riunì il comitato centrale del partito, annunciando un imminente rivoluzione “inevitabile e matura”. Venne dato il compito di organizzare la rivolta a Lev Trotzkij, presidente del soviet di San Pietrogrado e amico di vecchia data di Lenin.
Al comando di Trotzkij vi erano oltre 10 mila operai (“le guardie rosse”) e centinaia di marinai mentre a San Pietrogrado il governo provvisorio di Kerenskij disponeva di qualche reparto di allievi ufficiali e di un battaglione femminile. Così, il 25 ottobre ci fu una sollevazione, preceduta da due colpi di cannone, volta alla presa del potere da parte di Trotzkij e in poche ore furono occupate banche, stazioni ferroviarie e tipografie. La sera dello stesso giorno i rivoltosi marciarono in direzione del Palazzo d’inverno (sede del governo provvisorio ed ex residenza dello zar) dal quale Kerenskij era già fuggito in cerca di rinforzi e dove i suoi uomini si erano barricati.
Già alle due di notte il palazzo venne conquistato in maniera quasi pacifica dai bolscevichi e senza che la popolazione se ne rendesse praticamente conto. La stessa notte si riunì il Congresso dei soviet e si formò un nuovo governo (il Consiglio dei commissari del popolo) con a capo Lenin, Trotzkij e Stalin. I tre annunciarono l’armistizio, assegnarono ai contadini le terre espropriate ai latifondisti e decisero di prendere il controllo dell’immensa Russia. Di conseguenza, il 26 ottobre scoppiò a Mosca la rivolta dei bolscevichi che combatterono fino al 2 Novembre, quando il Cremlino (sede di varie istituzioni zariste e roccaforte del governo provvisorio) si arrese.
Dopo i vari decreti sulla terra e sulla guerra, il soviet varò una serie di riforme che comprendevano la riduzione dell’orario lavorativo nelle fabbriche, la separazione tra Stato e Chiesa, la legalizzazione del matrimonio civile e la nazionalizzazione di banche, ferrovie e fabbriche (affidate alla gestione degli operai).
Il 26 novembre vennero poi tenute le elezioni per scegliere i membri di una futura Assemblea costituente e durante le quali votò meno della metà dell’elettorato (90 milioni di russi). Inaspettatamente, i socialisti rivoluzionari, guidati da Kerenskij, ottennero il 50% dei voti mentre i bolscevichi ne ottennero il 24%. Lenin non accettò i risultati delle elezioni e perciò l’assemblea che si aprì il 5 gennaio 1918 venne sciolta armi in pugno dalle guardie rosse. Così, Lenin salì al potere con la forza chiarendo che la «democrazia» dei soviet sarebbe stata diversa dalle altre, giudicate troppo formali, ed iniziò ad emergere una dittatura di partito.

Guerra civile e URSS. Scoppia la guerra civile (1918)
In seguito alla presa del potere da parte di Lenin, la situazione interna della Russia era sempre più delicata: era scoppiata nel Paese una guerra civile, fino al 1921. I protagonisti del conflitto furono i rossi, sostenitori del nuovo regime, e i bianchi, così chiamati dal colore della divisa che riprendeva quella degli ufficiali zaristi, ostili alla Rivoluzione d’ottobre. Questi ultimi avevano dato vita all’Armata bianca, un esercito controrivoluzionario a cui ben presto diedero il loro appoggio i menscevichi, cosacchi e i socialisti.
I bolscevichi, infatti, sin dalla fine del 1917 avevano estromesso dai soviet i menscevichi e avevano sciolto l’Assemblea costituente, eletta a suffragio universale e in cui si erano trovati in netta minoranza. In breve, anche le potenze dell’Intesa, nel timore che le idee socialiste rivoluzionarie si diffondessero nei loro territori impoveriti, intervennero militarmente in appoggio alle armate bianche. In effetti Lenin, malgrado le enormi difficoltà interne, pensava fosse possibile trarre vantaggio dalla crisi che travagliava quasi tutti i Paesi europei, al fine di estendere ovunque la rivoluzione (bolscevismo internazionale). A suo avviso l’esperienza russa altro non era che la prima tappa della rivoluzione comunista mondiale, immancabile e vicina. Proprio a tale scopo Lenin aveva creato la Terza internazionale (marzo 1919) finalizzata a diffondere su scala mondiale la rivoluzione proletaria, contrariamente a quanto aveva sancito la Seconda Internazionale, che auspicava invece una generalizzata tregua civile quale premessa di concrete riforme sul piano economico e sociale.

Dalle prime fasi alla vittoria dell’Armata rossa
Tuttavia, prima di esportare il comunismo negli altri Paesi, era necessario sconfiggere gli eserciti controrivoluzionari. L’Armata bianca e i suoi alleati stavano ottenendo importanti successi: ciò convinse i bolscevichi a eliminare la famiglia imperiale, i cui membri furono trucidati il 17 luglio 1918 a Ekaterinburg, negli Urali, dove erano imprigionati. Esattamente cinque giorni dopo venne proclamata ufficialmente la Repubblica socialista federativa russa con capitale Mosca, mentre il Partito comunista russo venne imposto quale partito unico.
Nel frattempo, il governo dei soviet aveva organizzato un esercito per contrastare i bianchi, l’Armata rossa. Gli scarsi risultati ottenuti inizialmente convinsero i bolscevichi a introdurre la leva obbligatoria: fu così che il numero di soldati passò da circa 450.000 del maggio 1918 a più di cinque milioni verso al fine della guerra, permettendo all’Armata rossa di sconfiggere i bianchi entro il 1921. La guerra civile causò in pochi anni milioni di morti e fu accompagnata da crudeli repressioni da ambo le parti, da fame e carestie: perciò la fine del conflitto non determinò una reale pacificazione del Paese.

Il comunismo di guerra (1918-1921)
Subito dopo, Lenin emanò una lunga serie di provvedimenti che prendono il nome di comunismo di guerra. Per respingere gli attacchi dei bianchi e far fronte alla carestia che dilaniava il Paese, egli stabilì un controllo diretto delle derrate alimentari e della produzione industriale da parte dello Stato. Attraverso il comunismo di guerra, Lenin spinse il partito e il Paese al di là delle sue iniziali previsioni: egli sottopose a controllo forzato tutta la produzione, specialmente quella agricola: ogni compravendita privata si introdusse il razionamento e un sistema di tessere il cibo. Sul piano sociale le misure prese da Lenin rinnegavano i principi base della rivoluzione: fu soppressa infatti la libertà di opinione, furono introdotti il divieto di sciopero e il lavoro forzato nelle fabbriche.

Conseguenze economiche e sociali
Il controllo sulla produzione garantì costanti rifornimenti all’Armata rossa per tutta la durata del conflitto, permettendo di superare una situazione estremamente delicata. Questi provvedimenti, attuati senza il consenso delle masse, fecero crollare la produzione agricola e industriale e causarono una forte resistenza da parte dei contadini. Lenin rispose alle ribellioni che si scatenarono in tutto il Paese con l’arma del terrore poliziesco. In tale clima repressivo fu soffocata la rivolta dei marinai: questo convinse Lenin ad abbandonare il comunismo di guerra.

La Nep: la liberazione dell’economia
Prendendo atto dei problemi sociali causati dal comunismo di guerra, a partire dal 1921 Lenin decise di attenuare il controllo statale, provvedendo a una parziale restaurazione del libero commercio, dell’attività industriale minore e della proprietà privata in genere. Il nuovo indirizzo fu chiamato Nep (Nuova politica economica) e fu considerato come una tappa di transizione fra capitalismo e socialismo. Uno dei provvedimenti più importanti fu la fine delle requisizioni forzate delle derrate alimentari, sostituite da un’imposta fissa in natura. In tale modo fu possibile far aggiungere ai mercati cittadini i prodotti dei campi in quantità più consistenti, rivitalizzando contemporaneamente la produzione agricola e i commerci locali con la prospettiva del libero guadagno. I provvedimenti della Nep riguardarono anche la grande industria, il cui sviluppo era indispensabile per rafforzare lo Stato sovietico e per l’affermazione del comunismo nella coscienza delle masse.

La nascita dell’Urss (1922)
Altra preoccupazione di Lenin fu quella di dare una definitiva riorganizzazione territoriale e politica al Paese. Nacque così nel corso del primo congresso dell’Unione dei soviet (30 dicembre 1922) una federazione di repubbliche sotto il nome di Unione delle repubbliche socialiste sovietiche (Urss), alla quale venne data la sua prima Costituzione il 31 gennaio 1924. Il nuovo Stato risultò retto da un Consiglio o Soviet supremo dell’Unione, detentore del potere legislativo, e da un Consiglio dei commissari del popolo, espressione del potere esecutivo. Il potere giudiziario venne a sua volta affidato a una Corte suprema dei Soviet e ai tribunali da essa dipendenti.
Di essa facevano parte Ucraina, Bielorussia e Federazione transcaucasica. La fine dell’Urss avviene 68 anni dopo. Nel marzo 1990 Lituania, Lettonia ed Estonia proclamarono la propria indipendenza. Un anno dopo con il fallimento del colpo di Stato contro le riforme, le Repubbliche baltiche proclamarono la separazione dall’URSS, venendo riconosciute dalla Repubblica russa (24 agosto 1991), poi da numerosi paesi occidentali e infine dalla stessa URSS. Tutte le Repubbliche federate che non l’avevano ancora fatto proclamarono allora la propria indipendenza e l’8 dicembre 1991 i presidenti di Russia, Ucraina e Bielorussia decretarono la dissoluzione dell’URSS. Il 21 dicembre 1991, 11 repubbliche sovietiche nell’incontro di Alma-Ata annunciarono la creazione della Comunità di Stati Indipendenti.

Compendio stilato dagli studenti Alabiso Stefano, Ciucci Carlotta Feola Patrizio, Maschiocchi Rachele e Trujillo Alva Vivian Roberta, Liceo Scientifico Statale Antonio Labriola (RM).

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