L’esigenza della religione

La Critica della ragion pratica si conclude stabilendo la necessità di porre come guida dell’azione morale tre postulati, tra cui quello dell’esistenza di Dio. Questa affermazione comporta la risoluzione della religione nell’etica: non è l’etica che debba scaturire dalla religione, non si tratta perciò di un’etica di tipo contenutistica, con doveri specifici (come le tavole della legge di Mosè), ma formale che indica la forma dell’agire. Seppur trattiamo di un’etica razionale, rimane tuttavia irrisolto il problema della salvezza.
C’è dato comunque sperare, come si sostiene nella Pratica: «se io faccio quello che debbo fare» posso sperare che Dio ricompensi la mia vita virtuosa con il premio della felicità; si ha così il Sommo Bene, la virtù, significa la felicità. A coronamento dei nostri discorsi, che rapporto c’è tra la felicità e la moralità? Avere il rispetto della legislazione morale, interiore, significa subordinare il proprio desiderio di felicità; mentre la virtù deve essere considerata in se stessa nell’idea della ragione ovvero «come l’uomo deve essere».

Noi abbiamo l’idea che presuppone ciò che dobbiamo fare, cosa fare di buono e compiendo ciò sentiamo anche, ma non necessariamente, di essere meritevoli della felicità, della somma felicità, non garantita in questa vita, ma in una vita in cui la destinazione morale si svolge all’infinito: i discorsi morali non amplificano la conoscenza del mondo sensibile, ma rendono intuitivi a uso pratico concetti di cui non possiamo cogliere il fondamento ma che esplicano il «come» bisogna comportarci.

Da La critica della ragion pratica

La felicità non può essere se non uno scopo condizionato, e che quindi solo l’uomo in quanto essere morale può essere scopo finale della creazione; perciò che riguarda il suo stato, la felicità non è congiunta con la moralità se non come una conseguenza, in proporzione dell’accordo con quello scopo come lo scopo della sua esistenza.

Quali sono i postulati della ragion pratica? La moralità esige la libertà, come più volte sostenuto; la libertà della volontà, esige e la postula: il dovere è dovere solo per chi può seguirlo (ed esso può essere eseguito). Rimane fondamentale la particolarità che il dovere, per quanto difficile, sia fattibile. Abbiamo anche l’aspirazione alla santità che esige e postula l’immortalità dell’anima; santità che non può essere raggiunta sulla terra a causa delle proprie inclinazioni degli impulsi sensibili, l’aspirazione, quindi, postula che l’anima sia immortale. Anche la felicità, o meglio la garanzia di un grado di felicità proporzionata alla virtù esige e necessita, postulando, un Giudice Supremo; ovvero l’impossibilità di raggiungere una felicità adeguata alle virtù, postula l’esistenza di Dio, quale garanzia di un ordine morale.
Fra la religione e la morale vi è quindi un’intima compenetrazione tale che il comportamento morale assume un aspetto religioso (v. La religione entro i limiti della sola ragione), non perché l’uomo moralmente buono faccia riferimento a un sistema di regole, di comandamenti che provengano dall’esterno a lui e neppure perché spinto da motivi che determinino ulteriormente il suo agire (per il timore di un castigo divino o la speranza di un premio), ma perché vi è coscienza che esista un perfetto accordo tra imperativo categorico e volontà di Dio che, come Giudice giusto, premierà l’uomo per il suo comportamento virtuoso.

da La religione entro i limiti della sola ragione

La religione in cui io devo, prima, sapere che qualche cosa è un comando divino, per riconoscerla poi come mio dovere, è la religione rivelata (o che esige una rivelazione): quella, invece, in cui io devo sapere che qualche cosa è un dovere prima che la possa riconoscere come un comando divino, è la religione naturale.

Kant afferma che l’uomo etico non ha bisogno di una religione rivelata poiché è già buono, e possiede una religione naturale che deriva dalla sua stessa ragione. L’uomo, però, pur se ragionevole ha un’inclinazione naturale verso il male, ma nutre una costante speranza di felicità. Partendo da queste riflessioni, il filosofo tenta di dare una risposta a tre grandi dilemmi: l’esistenza di Dio, l’immortalità dell’anima e la libertà umana. Il primo viene risolto in quanto Dio, buono, onnisciente e onnipotente, è in grado di garantire ai buoni una virtù e una felicità proporzionate all’essere umano che non può raggiungere il sommo bene da solo; ricongiungersi con quel bene originario che è la santità delle massime.

da La religione entro i limiti della sola ragione

La ragione, nella consapevolezza della sua impotenza a soddisfare alle sue esigenze morali, si estende fino a idee trascendenti, che potrebbero compensare quella deficienza, senza che la ragione se le attribuisca come un suo più esteso possesso. Essa non contesta né la possibilità, né la realtà degli oggetti di queste idee, ma solamente non può assumerle nelle sue massime del pensare e dell’agire. Anzi essa calcola che, se, nell’insondabile campo del soprannaturale, v’è tuttavia, oltre ciò che essa può rendere comprensibile, ancora qualcosa, che sarebbe necessario per supplire all’impotenza morale; questo qualcosa, anche se sconosciuto, tornerà pertanto di grande aiuto alla sua buona volontà mediante una fede, che (riguardo alla sua possibilità) si potrebbe chiamare riflettente , poiché la fede dogmatica , che si spaccia per una scienza , apparisce alla ragione insincera o presuntuosa.

Il secondo porta l’anima a un infinito perfezionamento morale per poter raggiungere il sommo bene. A causa degli impulsi sensibili, l’uomo non può raggiungere il sommo bene sulla Terra, quindi è necessaria l’immortalità dell’anima; l’uomo è corrotto (metaforicamente il peccato originale, l’egoismo stesso), pur se buono cioè presenta una innata disposizione al bene.
L’ultimo introduce il mondo dei fini, del quale l’uomo fa parte in quanto si autodetermina secondo la legge morale. La moralità necessita della libertà della volontà, ovvero quest’ultima esiste quando il dovere è compiuto solo da chi è libero. Si ricordi che il dovere è ciò che una volta «incontrato», riconosciuto, non si abbisogna di altro movente oltre a quello della rappresentazione di esso stesso.
Il male del mondo significa male morale. La natura umana è buona o cattiva? il problema è proprio quel natura umana in rapporto alla libertà; con questa espressione si intende «il fondamento soggettivo dell’uso della libertà umana in generale (sotto le leggi morali oggettive)», fondamento di per sé anteriore ad ogni evento, qualunque sia la localizzazione; tale fondamento è però egli stesso un atto di libertà; pur la ragione del male non sussiste in un oggetto determinante l’agire, neppure nell’istinto, «ma soltanto in una regola, che l’arbitrio dà a se stesso per l’uso della sua libertà; vale a dire in una massima». Il grande insegnamento rimane che il male è comunque sia una scelta e, come tale, può esserci sempre un cambiamento.

stilato dal docente Giancarlo Petrella

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