Kant o Hegel? Individualità o eticità?

Hegel critica la concezione kantiana di morale, in quanto fondamentalmente astratta ed individuale. In Kant rimane una morale dell’intenzione, mentre Hegel, con la sua eticità dialettica, esprime la realizzazione dell’individuo nell’ambito: familiare, della società e dello Stato.

Se ci si riflette sopra, la morale di Kant può in effetti sembrare quasi egoistica: un’azione risulta essere moralmente valida quando soddisfa il criterio dell’universalizzazione, ossia quando ogni uomo ipotizza il proprio comportamento come adottabile da chiunque, eppure allo stesso tempo è come se andasse a negare a priori il contrario di ciò che l’individuo considera essere il comportamento giusto da adottare.

O meglio, riprendendo l’esempio riportato dell’obiezione di coscienza al servizio militare, seguendo la morale di Kant è come se si andasse a vedere solo una faccia della medaglia, quella che “più ci piace”, quella che “più ci fa comodo” (in questo caso l’opporsi all’obbligo del servizio militare, ammettendo che chiunque altro possa fare allo stesso modo, ma allo stesso tempo, forse senza rendersene troppo conto, negando ad un altro individuo la possibilità di comportarsi secondo una direttrice che si discosti da quella che io considero giusta e che di conseguenza pongo come legge universale), giustificandosi in qualche modo dietro quelle che possono risultare come scuse o come banalissime semplificazioni. Kant, con la sua morale universale, ma in realtà individuale, non tiene conto della miriade di diversità che, fortunatamente e sfortunatamente, rendono ogni essere umano -potremmo dire – “unico”.

Hegel giunge alla conclusione che l’unica norma morale priva di contraddizioni sia quella costituita dalle leggi dello Stato. Hegel colloca la morale all’interno dello Spirito Oggettivo ed il percorso dialettico che la contraddistingue può essere così riassunto:

-Tesi: diritto astratto;

-Antitesi: manifestazione del valore del singolo, la libertà della persona, la volontà̀ soggettiva;

-Sintesi: l’eticità̀, ovvero il luogo dove avviene il bene, tramite la famiglia, la società̀ civile e lo Stato.

Hegel attua una divisione tra vera etica e morale privata (eticità). È una distinzione fondamentale, su cui probabilmente si dovrebbe basare un po’ di più la nostra società, una suddivisione a cui dovremmo ispirarci. Vivendo in una società, è indiscutibile che debbano esistere delle leggi che vadano a regolare la pacifica convivenza, o perlomeno il tentativo di pacifica convivenza. Risulta anche abbastanza logico il ragionamento di Hegel e quindi è facile trovarsi in accordo con lui, specialmente per quanto riguarda il fatto che sia necessario che chi rappresenta lo Stato non abbia interessi privati.

Questo ultimo punto purtroppo nel mondo in cui viviamo, o almeno nel Paese in cui viviamo, non trova quasi mai applicazione: sembra come se la classe politica, che dovrebbe guidare il Paese ed il popolo verso un benessere progressivamente maggiore, sia entrata in quell’ambiente solo per avere dei tornaconti personali. Troppe volte si sente parlare di favoreggiamenti, di sotterfugi, addirittura di crimini commessi e rimasti impuniti.

Se invece si seguisse il principio enunciato da Hegel, e sopra riportato, si andrebbe ad agire nell’interesse della popolazione e questo porterebbe sicuramente grandi vantaggi. Secondo Hegel quindi, per agire in modo veramente morale, bisogna, non partire dalla mia legge individuale e “forzarne” l’universalità, ma agire secondo la legge già effettivamente universale, quella dello Stato.

Il fatto di dover agire secondo la legge universale dello Stato, non esclude però quella che è la morale individuale, particolare di ogni individuo. Infatti, se è vero che ci dobbiamo rifare a dei principi generali, fissi, validi per tutti, poi però, ovviamente, ci sono molti aspetti della vita, specialmente quella quotidiana, in cui ci rifacciamo, più che alla vera etica, all’eticità.

L’eticità del singolo non può non esistere. I valori che ho io, i principi secondo i quali sento di dovermi comportare, possono differire da quelli di un mio coetaneo qualsiasi, è la natura ed è forse quello che ci rende essere umani realmente umani: la diversità di pensieri, di atteggiamenti, di risposte alle situazioni che ci si presentano davanti.

Si potrebbe dire che forse sarebbe meglio se tutti si comportassero in una certa maniera, in modo “giusto”, ma il problema risiede proprio nel definire il “giusto”: se è giusto per me, di conseguenza è giusto per tutti? La risposta è sì solo se l’individuo che la dà è affetto da una qualche specie di mania di egocentrismo, perché così facendo si ritiene automaticamente migliore di chiunque altro: afferma che “il suo giusto” sia realmente giusto, mentre che “il giusto” di qualcun altro non lo sia, perché non concordi tra loro.

Forse il “giusto” sta allora proprio nel fatto che in realtà non ci sia un vero e proprio giusto universale, ma che esista un “più giusto” singolo e un “più giusto” comune a cui dover fare riferimento: al secondo in quanto parte di una comunità ed al primo in quando individuo autodeterminante.

Ovviamente, salvo casi estremi, la moralità, l’etica dello Stato, delle sue leggi, deve essere anteposta all’eticità singola, perché si deve, o meglio si dovrebbe, sempre fare quello che si vuole – ancora più importante è il poter essere liberi di farlo – ma sempre e comunque entro i limiti per cui non si vada a recare danno agli altri.

E quindi sul principio del “non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te” si può ritrovare, in termini kantiani, la massima che deve diventare universale, senza però imbattere nell’errore di voler imporre anche che gli altri non possano fare ciò che tu non vorresti fare.

Riflessione stilata dalla studentessa Alessia Brongo, Liceo Scientifico Statale Antonio Labriola (RM).

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