la poetica di Aristotele, approfondimento

La poetica è un trattato scritto a scopo didattico da Aristotele fra il 334 e il 330 a.C. e assume un importante valore filosofico perché viene riconosciuto come primo esempio nella civiltà occidentale di analisi dell’arte che prescinde dall’etica.

Nella poetica Aristotele analizza la poiesis, ovvero la scienza del produrre. È arrivato fino a noi solo un libro nel quale si analizza la tragedia e l’epica, si presume che Aristotele abbia scritto anche un secondo libro riguardante la commedia purtroppo andato perduto.
Le precedenti interpretazioni filosofiche dell’arte sono da attribuire in primis a Gorgia e successivamente a Platone. Per Gorgia, in assenza di un modello da imitare, poiché ritiene che nulla è, l’artista è colui che crea ed è tanto più bravo tanto più riesce ad ingannare gli spettatori.
Platone, invece, ha un giudizio negativo dei confronti dell’arte perché si ispira alle cose, le quali, a loro volta, sono copie delle idee; l’arte dunque non è altro che una copia di una copia e, inoltre, sul piano morale, fomenta e stimola le passioni inducendo i giovani (e non solo) ad avvicinarsi ad esse e, al tempo stesso, ad allontanarsi dalla razionalità, dalle idee.
Aristotele ha un’interpretazione assolutamente innovativa nei confronti dell’arte: l’imitazione, e quindi l’arte, sono abilità innate nell’uomo, che dunque si eleva su gli altri animali per essere artistico, l’uomo è libero di creare attraverso tutte le arti, in particolare la tragedia, che rappresenta il massimo esempio di arte e di raggiungimento della catarsi.
L’arte è cioè una rielaborazione della realtà, mediante l’elemento creatore frutto della mente umana, per questo risulta più arricchente rispetto alla storia che appare invece come una spoglia collezione di fatti e avvenimenti.

nella Poetica:

(…) e perciò la poesia è più filosofica e più elevata della storia poiché la poesia esprime l’universale la storia il particolare (…)

L’universalità dell’arte (e la rispettiva elevatezza rispetto alla storia) è dovuta alla verosimiglianza con la realtà tramite le analogie con le nostre vite, gli idealtipi permettono inoltre un’analisi filosofica dello spettatore nei confronti dei personaggi di una determinata opera. Per esempio, nell’Odissea, Ulisse diventa l’idealtipo dell’uomo che vuole tornare a casa, che deve superare peripezie e che torna “trasformato” con nuovi e rafforzati valori.
La mimesi imitazione) aristotelica è intesa positivamente, come forma di arte, di saper fare; l’imitazione della realtà per cui l’operare dell’artista diventa simile all’operare della natura (mimesi diretta, propria della tragedia e della commedia, “cose per come sono”). Tale concetto diventa chiaro con la teoria della metafora, che ritroviamo nel libro III della Retorica dello stesso filosofo. La metafora è in grado di legare tra loro due termini che altrimenti sarebbero impossibili da collegare, spesso infatti nella tragedia e nell’epica si usano elementi fantastici che hanno questa funzione.

Come già accennato, l’arte per eccellenza, secondo Aristotele, è la tragedia. Essa è oggetto di analisi per l’intero trattato aristotelico e qui di seguito sono riportate le unità canoniche che possono essere individuate:
• Unità di luogo – svolgersi cioè in un luogo unico, nel quale i personaggi agissero o raccontassero le vicende accadute. Nella tragedia greca spesso le azioni non vengono compiute e viste “in presa diretta” ma soltanto riferite o raccontate sulla scena.
• Unità di tempo – la più comune interpretazione di questa norma fu che l’azione dovesse svolgersi in un’unica giornata dall’alba al tramonto.
• Unità di azione – il dramma doveva comprendere un’unica azione, composta da una situazione iniziale e finale collegate da una serie di avvenimenti, con l’esclusione quindi di trame secondarie o successivi sviluppi della stessa vicenda.
In realtà, l’individuazione di tali canoni non è da attribuire direttamente ad Aristotele ma alle successive interpretazioni riportate nelle traduzioni in latino risalenti al XVI secolo, svolte, fra gli altri, da Ludovico Castelveltro e Giraldi Cinzio.
L’elemento morale fondamentale della tragedia, come detto, è la catarsi. La catarsi ha una funzione purificatrice. Durante la visione di una tragedia, lo spettatore (nonostante l’oggetto della rappresentazione fosse di conoscenza pubblica e che quindi non ci fosse suspance) assiste al travolgimento incontrollato delle passioni sull’animo umano e sulle conseguenze tragiche, appunto.

Aristotele, agli antipodi rispetto al pensiero di Platone, ritiene che la tragedia, quindi, educhi; lo spettatore, infatti, instaura un rapporto con le passioni, le rielabora e impara a gestirle. Questo può accadere tutt’oggi, anche con i nuovi mezzi di intrattenimento come film, fumetti, musica, videogiochi, ecc. L’arte ci porta ad interagire con la nostra anima, a controllare le passioni e, alla fine, addirittura a migliorare l’umore. Il tragediografo, o qualsiasi Artista, pertanto, deve anticipare e prevedere gli esiti, gli effetti psicologici evolutivi sull’anima dello spettatore.
Secondo Aristotele, “Edipo re” di Sofocle è la tragedia perfetta, principalmente perché rispetta in pieno, nella sua trama, quel rapporto di causa-effetto che è una delle basi della sua “Poetica”: in pratica, l’unità di azione. Gli errori e le conseguenti disgrazie provocano nel pubblico pietà e terrore, costituendo la catarsi.

Compendio stilato dagli studenti Tommaso De Cesare e Daniele Marra, Liceo Scientifico Statale Antonio Labriola (RM).

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