Lenin, il filosofo

Lenin fu un politico e politologo (studioso delle diverse modalità di organizzazione delle unità politiche) russo, che fin da subito dimostrò tendenze rivoluzionarie. All’età di 18 anni, iniziò a studiare Marx, interessandosi particolarmente al concetto di capitale secondo quest’ ultimo.

Successivamente si trasferì a Pietroburgo, nel 1893, ed entrò in contatto con il Movimento “Emancipazione nel Lavoro”, fondato da Plechanov, il quale confluì nel partito operaio socialdemocratico di Russia. Lenin credeva fosse possibile attuare una rivoluzione proletaria in Russia, nonostante l’arretratezza di quest’ultima.
Egli criticava i populisti russi, opponendo ad essi la necessità di passare attraverso la fase capitalistica, la quale non doveva comportare lotta tra i parlamentari ma sarebbe dovuta esser vista come rivoluzione per il bene comune. Per attuare una rivoluzione sarebbe stata necessaria la formazione di un partito di rivoluzionari, un’ avanguardia della classe operaia.
Nel 1902, nella sua opera Che fare?, Lenin elaborò il suo concetto di partito, visto come gruppo cementato al suo interno dall’unità ideologica, disciplinato e centralizzato nelle sue decisioni ed efficiente sul piano operativo. Con queste tesi egli si opponeva a tutte le forme di anarchismo e spontaneismo, che affidavano l’iniziativa rivoluzionaria a moti spontanei delle masse, non preparati, non organizzati e non guidati dal partito, che talvolta indulgevano ad atti di terrorismo individuali, svincolati dai movimenti di massa.
Egli, inoltre, riteneva fosse necessaria una fase transitoria di dittatura del proletariato, un momento in cui si sarebbe usata la forza per preparare il passaggio al regno della libertà; il controllo operaio sulla produzione e la partecipazione dei lavoratori alla direzione dello Stato, attraverso la formazione dei soviet (consigli), degli operai e dei contadini, avrebbero quindi avviato il processo che avrebbe condotto all’estinzione dello Stato stesso.
Lenin sosteneva che per la formazione dei membri del partito, fosse essenziale una componente teorica, fornita dal Marxismo; egli individuò i due elementi fondamentali della teoria Marxista nel materialismo e nella dialettica e tornò a collegarli, a differenza dei marxisti di stampo positivistico ed evoluzionistico e quelli revisionati, che li avevano scissi o addirittura eliminati.

Nel Materialismo e Empiriocriticismo (opera del 1909) egli sostenne che la materia, che agisce sui nostri sensi, produce le sensazioni; di conseguenza la materia esiste indipendentemente dalle nostre sensazioni e dalla nostra coscienza; la scienza, quindi, conferma l’esistenza della terra prima ancora che esistesse l’umanità in grado di conoscerla.
Per Lenin non vi è certezza che esista una differenza di principio tra i fenomeni, cioè le cose come appaiono a noi e le cose in sé (a differenza di come pensava Kant). L’unica differenza è quella tra ciò che è conosciuto e ciò che non si conosce ancora; esiste quindi una verità oggettiva assoluta alla quale ci si avvicina gradualmente, perché dire che la conoscenza sia relativa equivarrebbe a dire che essa non sia ancora in possesso della verità totale, la quale non è unica, ma ha accezioni diverse in relazione a ciascun individuo.
Per Lenin, infine, la conoscenza è il “riflesso” della realtà, anche se ciò non implica che essa sia un rispecchiamento passivo di un qualcosa visto come fisso ed immutabile. La realtà e la conoscenza devono essere interpretate con la Dialettica, la quale per Hegel e Marx non era un semplice movimento o un’evoluzione puramente meccanica: per Hegel essa è di stampo idealista, che vede lo spirito come unico motore di essa; per Marx essa è di stampo materialista, quindi, di conseguenza, economica. Per Lenin, invece, essa offre la chiave di lettura della storia come lotta di classi, alla quale sarebbe poi seguito il momento sintetico di una società senza classi.

Compendio stilato dalla studentessa Laura Masilli, Liceo Scientifico Statale Antonio Labriola (RM).

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