Hegel, il rivoluzionario

Per quanto concerne l’elemento etico, l’individuo non può e non deve vivere da sé come un atomo, ma deve prendersi cura di sé e degli altri; come in Spinoza, in Hegel nessun ente e a sé. Così, mentre il desiderio è la prima manifestazione di un riconoscimento, poiché l’individuo vuole fra le prime cose essere riconosciuto quale individuo (dialettica servo-padrone), questo desiderio di essere riconosciuto deve avere un limite; il desiderio illimitato del capitalismo è ciò di più anti-hegeliano che ci sia. L’economia è uno strumento della società che risponde ai bisogni, ma non può venir “lasciata libera”, deve essere organizzata, tutelata dallo Stato (il tuo desiderio finisce laddove inizia quello dell’altro). Lo Stato deve garantire il benessere sociale, proprio per il tramite dell’economia; il benessere di tutti o della maggior parte.

Inoltre, lo Stato ha il dovere di prendere decisioni impopolari, perché, conoscendo se stesso, sa quello che deve fare; si pensi a Lincoln che decise se accettare la pace, assecondando l’esistenza della schiavitù, o proseguire la guerra avendo come obiettivo la sua abolizione. Lo Stato non è un insieme senza vita, ma è la risultante di molteplici elementi che sono astratti in sé. La famiglia (tesi) è il nucleo fondante della società (antitesi), la sintesi è lo Stato: certo ciò parrebbe un principio organizzativo della società in un senso totalitario (per molti esegeti le ragioni di Hitler e Stalin vanno cercate in Hegel). L’individuo conta perché conta nello Stato.

Nella equazione celeberrima di ciò che è reale è razionale e ciò che è razionale è reale, bisogna concepirne il carattere rivoluzionario: bisogna che nel mondo vi sia la ragione, la libertà, il benessere sociale e ciò è l’evento razionale più concreto. Lo Stato si rivela lo Spirito Oggettivo, mentre la storia lo Spirito Assoluto.

La morale kantiana, secondo Hegel, si svolge su di una contraddizione non risolta, l’imperativo categorico, formale, sottolinea il dover-essere, la tensione degli impulsi l’essere; nel mezzo v’è l’uomo infelice o incapace di realizzare la felicità. Hegel colloca la morale all’interno dello spirito oggettivo, distinguendolo nella dialettica del diritto astratto (tesi), manifestazione del valore del singolo, l’esistenza propria, esterna, della libertà delle persona; della moralità (antitesi), la volontà soggettiva, intima, e che persuade all’azione; infine dell’eticità (sintesi) che è il luogo dove avviene il bene, tramite la famiglia, la società civile e lo Stato – si ha di nuovo un’altra dialettica. Si ricordi che la sintesi non è caotica, ma ordinata; secondo principi per l’appunto razionali.

Nel momento della moralità, sottolineo da Kant (secondo Hegel), v’è il conflitto tra la virtù e la felicità; sussiste tuttavia un conflitto superiore: la soggettività legata ai valori individuali e il bene così come si può realizzare solo concretamente. In Kant rimane il momento astratto della morale, senza che si possa esprimere nel mondo, una morale dell’intenzione; mentre nell’eticità v’è la realizzazione di sé proprio nell’ambito familiare, nella società e nella dimensione dello stato.

Si comprende perciò che l’identità tra la Ragione e il reale, così come viene esposta nel passo dei Lineamenti di filosofia del diritto, non solo mostra che ciò che esiste è manifestazione concreta della Ragione, ogni struttura è studiabile e ha dei propri schemi, viepiù il pensiero non rimane astratto, un semplice ideale, ma si dispiega nel concreto, e l’uomo deve prodigarsi per attuare il bene, come già sostenuto, devo svolgere continuamente una rivoluzione, seguendo l’insegnamento hegeliano. Non è il giustificazionismo il punto decisivo della questione, ovvero giustificare le guerre, l’Olocausto e Halabja – secondo Hegel e qualsiasi storico e studioso sono eventi studiabili, pur se esecrabili; il punto decisivo rimane che l’uomo sia nel singolo, la famiglia, sia nella società e nello Stato (nello Spirito oggettivo) deve prodigarsi per il miglioramento. Dunque, come sostenne il grande Sankara, si possono uccidere i rivoluzionari, ma non le idee; le idee condizionano e muovono il mondo.

La razionalità contiene di per sé la libertà, siamo in un contesto post-kantiano, lo sviluppo della ragione significa lo sviluppo dialettico dell’essere liberi; la libertà dell’individuo si concretizza nella sua eticità con gli altri; la libertà individuale se non si esplica rimane astratta, egoistica, in effetti un’etica che presupponesse solo che ognuno agisca per il proprio bene che etica sarebbe? La ragione reale, effettiva, non è del singolo, ma della società, e dello Stato (che deve garantire i diritti del singolo e della società proprio in quanto li include – l’idealismo hegeliano non può essere affiancato al nazismo). Forse Hegel rimane il più rivoluzionario dei filosofi poiché ha sostenuto che la storia stessa sia un movimento continuo, una progressione verso il bene, e questo non è di per sé un principio rivoluzionario?

L’accidentale, l’astratto, sono tali solo in quanto legati ad altri, ottenendo un’effettiva esistenza e libertà, questo stesso evento significa il negativo, l’energia del pensiero; nelle magnifiche parole di Hegel:

da La fenomenologia dello Spirito

Il fatto che l’accidentale in quanto tale, separato dalla propria sfera, il fatto che ciò che è legato ad altro ed è reale solo in connessione ad altro ottenga un’esistenza propria e una libertà separata, tutto ciò costituisce l’immane potenza del negativo: tutto ciò è l’energia del pensiero, dell’io puro. La morte, se così vogliamo chiamare quella irrealtà, è la cosa più terribile, e per tener fermo ciò che è morto è necessaria la massima forza. Se infatti la bellezza impotente odia l’intelletto, ciò avviene perché si vede richiamata da questo a compiti che essa non è in grado di assolvere. La vita dello Spirito, invece, non è quella che si riempie d’orrore dinanzi alla morte e si preserva integra dal disfacimento e dalla devastazione, ma è quella vita che sopporta la morte e si mantiene in essa. Lo Spirito conquista la propria verità solo a condizione di ritrovare se stesso nella disgregazione assoluta. Lo Spirito è questa potenza, ma non nel senso del positivo che distoglie lo sguardo dal negativo come quando ci sbarazziamo in fretta di qualcosa dicendo che non è o che è falso, per passare subito a qualcos’altro. Lo Spirito è invece questa potenza solo quando guarda in faccia il negativo e soggiorna presso di esso. Tale soggiorno è il potere magico che converte il negativo nell’essere.

Ogni autocoscienza desidera, fra i molteplici desideri che la caratterizzano, d’essere riconosciuta, questo riconoscimento non avviene per il tramite dell’amore, ma a partire del conflitto, il riconoscimento implica dolore, separazione, sofferenza; in una parola, la negazione.

La poderosa impostazione della Fenomenologia, nei suoi molteplici spunti, ha questo di certo che l’uomo non debba accogliere nessun dato come di estraneo, ma concepire i fatti: niente di estraneo; bisogna trasformare il reale, come trasfigurarlo. L’uomo non è alieno di fronte all’essente; deve perciò saper correggere gli errori.

Il sapere è storico, il sapere è potere; per prima il poter fare, la trasformazione; chi è il nemico per eccellenza? chi è la datità massima? cioè il dato che pretende di essere tale indipendentemente da tutto? il signore; in esso l’operaio si aliena; invece il lavoro consiste in una figura chiave: il lavoro trasforma il dato in fatto. Il lavoro, e la rivoluzione (che è un fare, un lavorare, un trasformare) abbatte le signorie.

Massimo Cacciari in merito:

Non c’è una virgola di Marx oltre Hegel, dal punto di vista logico.

La storia è rivoluzione; lotta ad ogni divinità oltre; il cristianesimo, per paradosso che sia, riporta qua, nel Dio fatto uomo, il Dio, ma ciò è anche il germe dell’ateismo: questa è la dialettica. Invece, chi sceglie di fuggire dalla lotta? lo schiavo, lo schiavo non cosciente; affrontare il negativo, trasformare, cambiare, trasfigurare, farsi altro.

Così termina nella Fenomenologia la filosofia, si conclude; nelle scienze, ma essa può dividerle, organizzarle. L’atavico rapporto fra scienza e filosofia ritorna, come in Aristotele; lo stesso Aristotele per il quale l’essente, come in Hegel, è energia, ἐνέργεια (atto) in atto; ogni essente vale, vale quanta energia è, pieno, pieno capacità; in atto, pienezza. Il divenire, perciò, è effettivo; davvero razionale, davvero effettuale per la coscienza: siamo nel nostro mondo; nostra è la storia; nostro l’inventare e il divenire.

La lotta per la storia è nella storia: la fine dell’esteriorità, contro ogni padrone; diveniente, sfrenata inquietudine, non smielato pacifismo.

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