le Signorie: le dinamiche del potere

Il Medioevo viene solitamente associato al concetto di vassallaggio ossia un giuramento solenne e pubblico tra un signore e un vassallo. Esso doveva indurre all’instaurazione di un legame di fedeltà e lealtà basati sull’adempimento di obblighi imprescindibili per ambo le parti: il vassallo doveva mettere a disposizione del signore le proprie competenze militari e in cambio riceveva protezione e un feudo. Questa distinzione gerarchica ed estremamente minimalista ed esemplificativa della società medievale non è però sufficiente ad offrire un quadro chiaro e completo della realtà propriamente detta.

Così come non é del tutto corretto ritenere che ciò sia stato la condizione unica e diretta della successiva definizione delle signorie e della frammentazione dell’impero carolingio. Sembrava che Carlo Magno e, prima ancora, il padre Pipino il breve avessero plasmato un nuovo Achille, un regno, poi divenuto impero, unitario e compatto immune a ogni tipo di attacco e contrasto. Eppure la graduale disgregazione che interessò l’impero carolingio a partire dalla metà del IX secolo dimostra la presenza di un Paride o forse più di uno.

Già durante il governo di Ludovico il Pio, figlio e successore di Carlo, era insorta un’evidente difficoltà legata all’ereditarietà del trono che, secondo le tradizioni dei Franchi, doveva essere spartito tra tutti i figli maschi e ciò minava al concetto base di impero unito. Infatti dopo la morte di Pipino il Breve il regno franco era stato spartito tra Carlo Magno e il fratello Carlomanno che morì circa un anno dopo la salita al trono. Al fine di mantenere l’unità politica Ludovico emanò nell’817 una legge, l’Ordinatio imperii, che riservava al primogenito Lotario tutto il potere. Fu la goccia che fece traboccare il vaso e che portò all’insorgere di una serie di guerre interne, tra i figli, che diminuirono, ma non cessarono, nell’843, con il trattato di Verdun che determinò la tripartizione dell’impero carolingio: la Francia e la Catalogna andarono a Carlo il Calvo, Ludovico il Germanico ottenne la Germania e Lotario mantenne il titolo di imperatore governando i territori intermedi.

Questi contrasti, come era avvenuto per l’impero romano d’Occidente, indebolirono le difese del territorio rendendolo meta prediletta delle incursioni dei Saraceni, degli Ungari, dei Normanni e dei Vichinghi. Gli assalti di queste popolazioni straniere in particolare di quelle Ungare, il cui attacco era basato sull’utilizzo della cavalleria e dell’arco, stimolarono la costruzione di castelli che sono oggi considerati l’emblema della “media aetas”. Inoltre i contrasti presenti tra i sovrani avevano indirizzato i desideri di conquista dei nobili verso l’interno determinando un legame di proporzionalità inversa tra il potere dei sovrani e quello dell’aristocrazia. Non a caso l’amministrazione del castello non era affidata al sovrano ma curata esclusivamente dal domus ossia dal signore. Infatti la lontananza fisica dei sovrani aveva spinto la popolazione a ricercare la protezione nelle autorità locali poiché i primi non erano in grado di agire con tempestività e fermare un attacco, dei diversi invasori, che era spesso ordito dagli stessi contendenti al trono che li assumevano come mercenari. Un fenomeno simile era accaduto con la Chiesa che aveva scelto di farsi proteggere dai Franchi e non dai bizantini poiché geograficamente lontani. Un processo altamente inverso a quello che avveniva durante il governo di Carlo Magno: l’autorità dei signori era determinata dal rapporto che questi avevano con l’imperatore. Al contrario l’autorità degli ultimi imperatori carolingi era solo di tipo formale proprio come quella di Lotario.

Questo progressivo indirizzamento dell’effettiva gestione del potere fu favorita dal capitolare di Quierzy nell’877. La legge emanata da Carlo il Calvo si riferiva ad una situazione specifica che stabiliva che se un conte fosse morto durante l’assenza dell’imperatore, la contea sarebbe passata provvisoriamente ai figli. Eppure fu un evento molto importante che diede avvio alla graduale ufficializzazione dell’ereditarietà che fu accelerata dai bisogni collettivi del tempo. I sudditi con l’incedere degli invasori e con il deterioramento del potere centrale si trovarono a riconoscere, esclusivamente, l’autorità dei proprietari del castello: gli unici in grado di garantire loro una percezione, seppur flebile, di sicurezza. Funzione centrale del castello era dunque quella di offrire protezione e riparo dalla pericolosità dell’esterno.

Il castellum, elemento essenziale di una signoria, divenne, dunque, una sorta di piccolo stato privatizzato. Tutti coloro che avevano la possibilità economica di costruire dei castelli erano anche in grado di imporre il proprio potere alla popolazione. Quest’ultima doveva, infatti, riconoscere l’autorità di più signori contemporaneamente e far fronte alle loro richieste. I signori erano spesso nobili locali, membri delle istituzioni ecclesiastiche che, accanto al potere militare, possedevano anche la facoltà di agire in ambito giuridico, ottenendo due importanti vantaggi di tipo pecuniario e politico. L’amministrazione della giustizia e in particolare le condanne che implicavano il pagamento di multe o di sequestro dei beni garantivano loro un importante entrata. Inoltre le scelte di un signore potevano essere difficilmente contestate poiché si poteva essere facilmente condannati, solo con Cesare Beccaria, nel saggio dei Delitti e delle pene, gli accusati potranno avere un margine di difesa.

Sconvolge, soprattutto se paragonato a ciò che accadeva durante gli anni del governo di Carlo Magno, la mole di potere posseduta da questi. Sorge, dunque, spontaneo domandarsi se dinanzi a queste prese di posizione i sovrani avessero mostrato qualche forma di opposizione. Eppure la realtà, come si era accennato nelle prime righe, è che i signori non dovevano considerare i loro possedimenti come dei feudi concessi dal signore. Le terre costitutive delle signorie erano, infatti, state acquistate oppure ottenute attraverso dei matrimoni politici. Nelle signorie, proprio come in uno Stato, veniva richiesto il pagamento di ingenti imposte in denaro, in natura e in lavoro. Le tasse erano spesso molto alte e interessavano quasi la totalità degli aspetti di vita dei contadini: esisteva persino un’imposta riservata ai possessori di scale, strumento utile ai coltivatori delle viti, lo scalatico.

Oltre alle tasse i contadini dovettero assolvere al pagamento di specifici canoni d’affitto su terre che prima di essere state sottratte dal signore erano di loro proprietà. È evidente come nell’età delle signorie i diritti individuali non costituivano un fattore di rilevante importanza tanto che persino i matrimoni tra i contadini erano sottoposti all’autorità dei signori. I deboli, come è consuetudine, furono coloro che subirono le signorie in nome di un miglioramento complessivo dell’economia. Infatti dinanzi alle innumerevoli pretese dell’aristocrazia dominante i contadini dovettero modificare le tecniche di coltivazione avvalendosi di un sistema a rotazione triennale che permetteva di coltivare le terre due anni su tre, riducendo il terreno lasciato a riposo. La fatica delle classi rurali accelerò quel processo di ripresa cominciato nell’VII secolo che portò a un aumento demografico e quindi al numero dei villaggi. Queste trasformazioni saranno fondamentali nella delineazione di figure dinamiche e importanti come quelle dei mercanti.

Compendio stilato dalla studentessa Sherouk Elmekawy, Liceo Scientifico Statale Antonio Labriola (RM).

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