la lotta di classe in Marx

Il testo, tratto dal Manifesto del Partito Comunista, verte su uno dei temi più comuni e centrali della filosofia e della politica di Marx, ovvero quello delle lotte di classe. Lotte che da secoli, se non millenni, si susseguono in tutte le società e civiltà più o meno evolute, a partire dall’ Antica Grecia e Roma fino al Medioevo feudale, contrapponendo “fazioni” che negli anni di Marx, ovvero intorno alla metà del 1800, si identificano nel proletariato e nella borghesia, in oppressi e oppressori, come definiti dall’economista stesso. La differenza tra le lotte passate e quella a cui i due autori del Manifesto assistono, sta proprio nelle fazioni sopracitate: mentre nelle società passate come quella medievale o ancor più lontane quelle latine e greche, la distinzione in “caste” era molto più ampia e diversificata, durante il diciannovesimo secolo si riducono a due grandi schieramenti che contengono tutti gli altri, che come già detto, sono proprio la classe borghese e quella operaia.

Il fulcro delle lotte di classe, ovvero ciò che fa sì che questi conflitti proseguano senza interruzioni, è la proprietà privata, scaturita dalla suddivisione del lavoro tra operaio e datore di lavoro, nel quale l’operaio non lavora per produrre ciò che occorre a se stesso ma per aumentare la quantità di ricchezza posseduta dal suo datore, venendo quindi sfruttato senza che possa soddisfare i propri bisogni e divenendo una sorta di “schiavo” (il cosiddetto fenomeno dell’espropriazione del lavoro). Tale suddivisione è proprio il motivo dell’accentuazione della disuguaglianza tra classi sociali che porta inevitabilmente a generare sentimenti rivoluzionari in coloro che risultano svantaggiati da simile opposizione, al contrario di coloro che traggono beneficio dal sistema capitalista per il quale un lavoratore vende il suo stesso lavoro per un prezzo che non è quello del suo effettivo valore.

La lotta di classe, in ogni caso, è anche considerata “il motore della storia”, ovvero un fenomeno fondamentale per il progresso dell’umanità, in quanto scintilla necessaria all’accensione della rivoluzione mirata ad un profondo mutamento della società. Con tale rivoluzione, Marx mira a far sì che il proletariato, una volta divenuto consapevole della sua condizione di subordinato alla borghesia, tenti di prendere il controllo delle lotte di classe, eliminando quindi quelle che sono le istituzioni dello Stato “governato” dalla borghesia stessa. La visione utopistica di Marx, infatti, prevede la fase di cancellazione totale dello Stato, sostituito completamente dal comunismo- in cui non esistono disuguaglianze né tanto meno proprietà privata- preceduta da un periodo intermedio detto “dittatura del proletariato” che prevede i molti (proletari) che dominano sui pochi (borghesi).

Ma esiste ancora oggi una lotta di classe? È innegabile che tutt’ora, in tutte le società del mondo, siano ancora presenti delle suddivisioni in classi, più o meno evidenti. Sta di fatto che la maggior parte delle ricchezze sulla Terra si trovano nelle mani di una percentuale bassissima, addirittura minima della popolazione, mentre il resto è suddiviso in maniera eterogenea tra il resto dell’umanità. A questo punto, è davvero necessaria una rivoluzione violenta delle classi minori per superare le disuguaglianze sociali? E le lotte di classe continueranno ad essere il “motore della storia” o la razza umana potrà evolversi e progredire senza ricorrere ai conflitti come ha sempre fatto?

Una soluzione a questi quesiti non è affatto scontata, soprattutto a causa della visione utopica di Marx. Difatti, gli ideali dell’economista e filosofo sembrano del tutto inattuabili all’atto pratico, essendo così distanti dai sistemi ormai radicati profondamente da secoli nella società umana. A livello teorico, sembrerebbe giusto immaginare una struttura sociale dove tutti i componenti sono uguali ed è abolita una forma come quella della proprietà privata, per la quale inevitabilmente saranno presenti individui che possiedono maggiori ricchezze di altri. D’altro canto, però, una simile società, all’interno della quale non c’è uno Stato a regolare le leggi e l’economia, tenderà sempre a sprofondare nell’anarchia e quindi nel caos. Il punto di incontro, sempre trattando utopicamente l’argomento, potrebbe essere una società nella quale esistano possesso e proprietà privata, ma con una più equa suddivisione dei beni. Il problema, nonostante ciò, è rintracciabile nel fatto che coloro che dovrebbero e potrebbero effettivamente cambiare i sistemi economici e sociali di oggi, sono proprio i “pochi” ovvero coloro che detengono il potere economico e che traggono vantaggi dal sistema attuale.

Riflessione stilata dalla studentessa Elisa Andreini, Liceo Scientifico Statale Antonio Labriola (RM).

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