la volontà di potenza

Sullo sfondo della visione prospettica, di cui abbiamo largamente parlato, si colloca la trasvalutazione di tutti valori, «logica» conseguenza del crepuscolo degli idoli, de la filosofia del martello. Stiamo parlando de la volontà di potenza. La Volontà di Potenza è anche il titolo di diverse raccolte, postume, di appunti di Nietzsche; la critica secondaria si divide proprio su questo punto, ovvero se considerare tali raccolte come genuine, espressioni autentiche o se risultano estrapolate fuori dal loro proprio contesto. Esistono inoltre varie edizioni del testo, de La Volontà di Potenza; una curata dai fratelli, una dalla sorella etc.

Il concetto è probabilmente preso da Spinoza e da Emerson (filosofo statunitense), dal concetto di questi di potenza (creare abitualmente nuove valutazioni, questa è elevazione). La volontà di potenza viene menzionata da Nietzsche per la prima volta in Così parlò Zarathustra; sarà poi ripresa in tutte le opere successive. Certamente vi è un richiamo al pensiero di Schopenhauer, alla sua volontà di vivere che si afferma al di là e al di sopra di ogni rappresentazione del mondo, si esplica nei singoli viventi e persino nei non-viventi, nelle forze incontrastabili della natura, volontà che secondo Schopenhauer deve essere convertita in noluntas mediante i famosi percorsi ascetici di ispirazione orientale.

La vita non ha un senso, uno scopo, poiché se lo avesse questo condizionerebbe il tutto oltre che sarebbe la verità, l’eterno e dunque annullerebbe il divenire; il divenire non ha un valore e un senso, poiché un valore di per sé deve essere stabile e nasce col confronto, ma come confrontare il divenire? Il divenire è sempre, ha sempre raggiunto il suo ipotetico valore, rimane sempre uguale, non altera. Cosa c’entra la volontà con questi ragionamenti? La verità limiterebbe la volontà, vincola le forze atte al conoscere, il vero paralizza la volontà di indagine, di esame, di attenzione. Una volontà che rincorre gli eventi, che crea, dal nulla, di nuovo il divenire in gioco. La volontà tuttavia non crea una verità compiuta.

La volontà di potenza è questo, la verità ovvero il produrre continuamente prospettive, un processo in infinitum, un determinare attivamente l’essere; la verità non esiste indipendentemente dal suo ricercarla (e crearla). Volontà è forza, forza creatrice ma anche il piacere della distruzione, del sostituire, di porre ciò che viene dal nulla in luogo di ciò che esiste, che pare stabile; si filosa col martello. Questi molteplici temi vengono trattati proprio in un’opera emblematica come Il Crepuscolo degli Idoli.

La volontà di potenza vuole se stessa, impersonale, perpetua; essa consiste nel coronamento del prospettivismo, il continuo aggiornarsi del pensiero significa volontà di potenza; essa non è il desiderio di qualcuno, ma il desiderio nel suo stesso essere, il desiderio vuole l’accrescimento, il rinnovamento. L’oltre-uomo vuole il divenire, vuole l’innocenza del divenire, senza il peso della morale, della metafisica che abbiamo visto che condanna l’uomo nella sua naturalezza e nei suoi elementi dionisiaci. La volontà di potenza vuole in eterno la creazione, l’atto della ripetizione dunque vuole l’eterno ritorno dell’uguale. La volontà vuole anche il proprio annullamento, per evitare la stabilità, una nuova nascita, continua, ogni verità deve divenire non-verità, poiché è già una non-verità, ogni desiderio approda a un traguardo che coincide col non-raggiungimento di sé per poter essere effettivamente desiderio.

Il pensare è il divenire poiché si alterano e si alternano i pensieri; il pensare è inoltre volontà, poiché si vuole il nuovo pur se parte del pensiero vuole porre l’ente in schemi, dunque porre il nuovo in vecchi schemi, già dati, ergo renderlo uguale ovvero stabile illudendosi che esista la stabilità; ma la volontà di potenza è anche questo, è anche il volere la menzogna per accettare la vita. L’angoscia della vita, il terrore che nasce dallo sconforto del potere dionisiaco, incapaci di cogliere il divenire e la vita si crea un mondo falso (che per ironia viene chiamato vero, metafisico), mondo vero che squalifica il mondo effettivamente reale (del divenire), quello dionisiaco; v’è un profondo risentimento, una calunnia contro la vita, contro la forza della vita, contro i «signori» di questo mondo ‒ pensiamo a quello che è avvenuto nel Medioevo dove i monaci hanno arginato la forza, potenza, bellezza, violenza dei cavalieri che «si scannavano» per renderli mansueti, buoni cristiani, ovvero nel linguaggio di Nietzsche hanno addomesticato la «bestia» per farla appartenere al gregge. Nel linguaggio di Nietzsche: «si avrà già indovinato con quanta facilità la maniera sacerdotale di valutazione può distaccarsi da quella cavalleresco -aristocratico e svilupparsi fino a diventarne l’antitesi.» Ma l’oltre-uomo, che deve ancora venire, deve utilizzare proprio il pensiero del gregge per dominare il mondo:

grazie alla loro sovrabbondanza di volontà, sapere, ricchezza e influsso, si serviranno dell’Europa democratica come del loro strumento più docile e maneggevole per prendere in mano le sorti della terra, per plasmare, come artisti, l’uomo stesso.

Pur l’uomo non è un essere stabile (laddove c’è solo divenire come potrebbe esserci la stabilità?), una forma precisa su di cui si deve prendere una posizione, quale con l’amore o la compassione o la Grazia, ma è un essere senza forma, un materiale che ha bisogno dello scultore; pietra e martello tornano nel linguaggio di Nietzsche ripetutamente. Certamente Nietzsche è un autore spesso di difficile interpretazione, si pensi al passo dello Zarathustra che cita: «io voglio che il vostro  supporre non si spinga oltre i confini della vostra volontà creatrice»; ovvero io voglio, in un senso profetico, come è profeta Zarathustra, che non poniate un Dio, un supporre oltre i confini della volontà che crea, crea nel divenire per tutte le ragioni sopradette. Dioniso è il Dio dell’ebbrezza, della sessualità, dei valori terreni; bisogna negare perciò la castità, l’umiltà, la paura del castigo eterno ovvero buona parte, secondo Nietzsche, di ciò che fonda la morale cristiana. Dioniso contro il Crocifisso; la potenza contro un’altra potenza: la vita che non significa altro che divenire.

Sono stati gli stessi «buoni», vale a dire i nobili, i potenti, gli uomini di condizione superiore e di elevato sentire ad aver avvertito e determinato se stessi come buoni, cioè di prim’ordine, e in contrasto con tutto quanto è ignobile e d’ignobile sentire, volgare e plebeo. Prendendo le mosse da questo pathos della distanza si sono per primi arrogati il diritto di forgiare valori, di coniare le designazioni dei valori: che cosa importava loro l’utilità!

I signori hanno imposto, creato, persino il linguaggio? La potenza in loro è il loro essere connaturato.

Il diritto signorile di imporre nomi si estende così lontano che ci si potrebbe permettere di concepire l’origine stessa del linguaggio come un’estrinsecazione di potenza da parte di coloro che esercitano il dominio: costoro dicono “questo è questo e questo”, costoro impongono con una parola il suggello definitivo a ogni cosa e a ogni evento e in tal modo, per così dire, se ne appropriano.

Poi arrivò il gregge, l’istinto degli armenti, la massa che ha rovinato, dominato i signori, il loro desiderio di vivere, imponendo i criteri, la morale, che facesse loro comodo. Si ricordi che «ovunque “nobile”, “aristocratico”, nel senso di ceto sociale, costituiscono il concetto fondamentale da cui ha tratto necessariamente origine l’idea di buono nel senso di “spiritualmente nobile”.» I plebei, i cattivi, erano gli altri; per logica conseguenza.

Forse un po’ «storpiando» il buon Nietzsche. Cosa ci rende veramente felici? La volontà! La forza che nonostante la mediocrità del mondo e le bassezze della «vita diurna», quella che condividiamo con gli altri, noi siamo, ci imponiamo; la fedeltà alle nostre promesse. La forza di mantenere i nostri pensieri pur se il mondo li dovesse negare. Il più grande nemico di noi stessi sono gli altri fin quando gli permettiamo di entrare nella nostra interiorità e ferirla. Dimentica chi ti distrugge perché incapace di costruire, di creare.

di Giancarlo Petrella,
Proprietà letteraria riservata©

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