Segnavia cartesiani, il tempo

Cartesio è il filosofo del Cogito, e quasi sempre nei manuali il suo pensiero viene delineato e riassunto e identificato con questa impostazione; talvolta, quasi per ragioni estetiche o per enfatizzare diversi assunti, il filosofo viene associato al Genio maligno; tuttavia riteniamo che, seppur il Cogito vesta un ruolo fondamentale nel «sistema» del filosofo francese, vi siano altri assunti e concezioni più impellenti, una di queste è la nozione della Creazione. Creazione che si presenta sia nelle modalità del Creazionismo continuo che di quella della Creazione delle verità eterne. Sono assunti che, in confronto al Cogito, sono stati sviluppati ben poco; certamente non potranno in questa sede venir trattati, ma l’accennarli è doveroso.

Il «permanere» del Cogito in Cartesio è garantito da Dio, dalla concezione del Creazionismo continuo. Sicché ogni istante è separato, non continuo. Il Cogito si rivela, ciò coincide con l’interpretazione canonica, un’intuizione istantanea, semplice, il cui permanere, come detto, è garantito da Dio. Sarebbe lecito il chiedersi se veramente il Cogito coincida col fundamentum absolutus, inconcussum, tanto auspicato dal giovane Cartesio; se realmente su di esso si possa fondare, come su basi nuove e più certe, una scienza universale. Se del Cogito si può avere certezza, è possibile a partire da questo costituire la mirabilis scientiae? Sarà, diversamente, il Metodo ciò di cui si ha bisogno? L’idea stessa di completezza, noi moderni diremmo totalità, e le sue problematiche possono venir così esaurite?

All’evidenza del Cogito si lega indissolubilmente il sospetto, la ‘minaccia’ gravante sulla chiarezza e distinzione delle verità accessibili all’uomo. La certezza dell’Io infatti, vive e si muove nell’evidenza del Dio onnipotente, che crea a suo piacimento il sistema dei principi evidenti; sostiene proprio Marzialetti.

Una visione non canonica è quella espressa da Beyssade, per il quale la natura del Cogito non è istantanea, né semplice, ma possiede una durata intrinseca, tuttavia necessita di Dio per essere oggetto di riflessione. C’è da sottolineare che secondo alcune concezioni sembrerebbe che il Cogito basti a se stesso, sia sufficiente, viva di sé, non debba «conquistare il mondo», può essere accomunato, per analogia, a un’Idea platonica.

Sulla certezza del Cogito possiamo concordare con Stroud: a thinker obviously could never be wrong in thinking ‘I think’; moreover, “no one who thinks could think falsely that he exists.

Al di là della natura del Cogito, comunque esso venga concepito, non cambia l’impostazione della comprensione del tempo come serie di istanti. Visione che certamente verrà ripresa da Spinoza. Nella terza meditazione Cartesio si esprime in questi termini: 

Quoniam enim omne tempus vitae in [49] partes innumeras dividi potest, quarum singulae a reliquis nullo modo dependent, ex eo quod paulo ante fuerim, non sequitur me nunc debere esse, nisi aliqua causa me quasi rursus creet ad hoc momentum, hoc est me conservet. Perspicuum enim est attendenti ad temporis naturam, eadem plane vi et actione opus esse ad rem quamlibet singulis momentis quibus durat conservandam, qua opus esset ad eandem de novo creandam, si nondum existeret; adeo ut conservationem sola ratione a creatione differre, sit etiam unum ex iis quae lumine naturali manifesta sunt.

Alcuni studiosi hanno sottolineato come nel passo riportato si parli di possibilità, non di effettività, cioè solo astrattamente sussisterebbe la suddivisione, per il tramite della riflessione. Cosicché, questi momenti sono separabili, non necessariamente separati. È bene sottolineare che – soprattutto in questa posizione nelle Meditazioni – non è necessario indagare se ciò che la mente pensi possa applicarsi al reale, quel che il passo in maniera indubitabile sostiene è che tale suddivisione, al di là del suo essere puramente intellettuale o effettiva, rende il tempo smembrabile ad infinitum

Per Spinoza, il tempo si manifesta come una ‘frammentazione’ del reale, il quale consiste nell’unica Sostanza, pertanto è bene soffermarsi sulla particolarità che non si danno cose statiche; ciò che sussiste coincide col perpetuo modificarsi dei corpi: nessun oggetto è così statico da poter essere individuato definitivamente. Persino il Cogito, inteso quale interiorità, non si presenta come una sostanza definita – infatti si dà una sola Sostanza ed essa coincide con Dio – ma come in costante mutamento.

Anche nell’impostazione cartesiana è possibile concepire la frammentarietà del tempo data dal suo esplicarsi accidentalmente che spalanca la possibilità dell’intuizione di Dio (nel terzo genere di conoscenza). In Spinoza: la stessa frammentarietà rivela il tempo come inesistente (mentre per Cartesio si parla di un tempo accidentale, non avente una connotazione ontologica necessaria) e, tuttavia, in analogia alla visione del filosofo francese, garantisce l’intuizione dell’esistenza di Dio. Certamente le due concezioni della divinità non potrebbero differire maggiormente, ma è interessante costatare come la nozione di tempo possa agevolare la certezza di Dio. Cerchiamo ora di approfondire questa peculiarità del tempo come costituito da «parti» contingenti.

Il tempo è suddivisibile: si avranno parti che coincidono con durate. La rappresentazione che ha come oggetto il domani, non dimostra che nel futuro sarò ancora vivo: il tempo è considerabile come discontinuo, avente parti indipendenti. Possiamo confrontare questa visione della contingenza assoluta delle parti con la Creazione continua, sicché Dio non è forzato da alcuna necessità, neppure da quella cronica, dei componenti temporali, ma ricrea, liberamente, l’esistente (e con esso lo scorrere temporale); ciò significa che le parti del tempo, oltre che contingenti, sono anche indipendenti. È doveroso sottolineare che grazie alla certezza che Dio non muta giudizio, non si presenta alcun pericolo di un ‘caos cronico’.

È lecito domandarsi se sia possibile considerare le parti del tempo come contingenti, ma non come discontinue. Inoltre, se il tempo si esplica come un continuo, lo è in quanto divisibile all’infinito? Gueroult e Laporte sostengono che seppur il tempo sia divisibile all’infinito, ciò non significa che esso sia realmente un continuo, ma si rivela, invece, una successione di istanti separati. Ora, se concepiamo gli istanti come indivisibili, come non continui, dobbiamo porre fra loro il vuoto, idea che è ingiustificabile sia secondo Cartesio, sia secondo Spinoza. A riguardo Beyssade sostiene: il ne sert à rien de faire de Dieu le Créateur par qui ces points se rattacheraient sans se confondre, puisque Descartes a pris soin de dire à Morus qu’il ne saurait y avoir en Dieu de durée vide entre deux instants pour nous différents ou successifs. Perciò la visione che pone il tempo in Cartesio come costituito da parti indivisibili, potrebbe non essere così esatta; inoltre, bisogna tener presente che la certezza di esistere dura fin quando vi si pensa.

di Giancarlo Petrella,
Proprietà letteraria riservata©

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