il Sultano e la Moschea

L’architettura è stata, fin dall’infanzia, ben prima della musica e della poesia, al centro dei miei interessi. Come ogni espressione dello spirito, essa da sé chiarisce i gusti: non siamo noi a scegliere il nostro atteggiamento di fronte alle opere dell’ingegno umano, ma esse stesse, con la naturalezza dell’esperire, allettano la nostra intera percezione, coincidente con ciò che si ama definire anima.

Ogni arte possiede il proprio lessico, il proprio linguaggio; ma l’erudizione, se non viene accompagnata da esempi e dall’edonismo, sfocia nelle elucubrazioni e nella pesantezza spirituale.

La Sultan Ahmet camii, nota come la Moschea Blu, è una delle meraviglie del mondo e potrebbe persuadere i più reticenti della magnificenza dell’Architettura. Il nome deriva dalle migliaia di maioliche, provenienti dall’antica Nicea, che si adagiano sulle pareti e sulla cupola; l’occhio così viene inondato da’ colori che variano dal blu al verde. Cerchi di luce disegnati da lampade pendenti dall’alto e luce naturale proveniente da centinaia di finestrelle indicano la sacralità del tempio: voluto per placare Allah, dopo gli sfortunati eventi della guerra contro la Persia.

Nicea fu conquistata dai Turchi Ottomani nel 1331 e dopo la caduta di Costantinopoli, nel 1453, perse prestigio; successivamente nel XVII secolo divenne uno dei centri fondamentali per la creazione di porcellane, nota come Iznik Çini – Çin consiste in una derivazione dal cinese: i Sultani adorarono tali porcellane. Eppure, tutta la laboriosità di Nicea non poté adempiere integralmente alla richiesta delle maioliche per la gran moschea di Ahmet.

Ben sei minareti la differenziano; una leggenda vuole che il Sultano, nell’intento di distinguerla dai gioielli dei suoi predecessori, decise che i suoi minareti dovessero essere d’oro, in turco altin, mentre l’architetto fraintese e ne pose sei, in turco alti; fu quindi l’unica moschea ad elogiarsi di sei minareti. Sette ne possiede la Sacra Moschea de La Mecca.

Otto volumi conservati presso la biblioteca di Topkapi attestano la meticolosità nella costruzione come della sua celerità; iniziata nel 1609, inaugurata nel 1617 – il cancello attesta l’anno precedente, ma si ha notizia che il Sultano poté pregare nell’anno di inaugurazione indicato; proprio a riguardo del rapporto fra il Sovrano e la Moschea, c’è caro ricordare come egli possedesse una loggia privata al piano superiore, accessibile persino a cavallo.

Come per i romani, per i turchi le più importanti opere architettoniche significano l’unione, la centralità e l’ordine dell’impero stesso.

Veniamo ai pensieri. Non si ammira questo immane monumento senza alcuna partecipazione, non soltanto emotiva, ma diretta: richiamando la fruizione degli spazi volumetrici nel muoversi fra di essi. Staticità totalmente assente con dilatazione continua delle forme, volumetria su volumetria; le esedre e la loro posizione negano la concezione geometrica chiusa, apprendibile con un primo sguardo. La parola d’ordine è amplificare e l’adeguata trattazione delle superficî concede una leggerezza e delicatezza inusuale per monumenti di questa portata: materia sottile che evidenza l’eleganza degli spazi. I colori consistono nel prolungamento della massa muraria che adeguatamente, con la propria natura a onda di goccia propagata, forme concave sempre più indirizzate all’esterno, giustifica una scelta che non ha soltanto del decorativo, ma del celebrativo.

Intricati e inutili, dal punto di vista strutturale, possono risultare gli ornamenti arabi; ornamenti sovrapposti realizzati con disegni convenzionali a piani variegati, in cui lo schema dell’uno, inferiore, coincide con lo sfondo dell’altro, superiore, aumentando gli «intrighi».

Tante limitazioni imposte dal Corano, quali alcuna raffigurazione di animali o di fattezze umane, tanti più stili. Tuttavia, ornamenti geometrici che depotenziano la luce del sole su superfici così vaste quali quelle della Moschea Blu, coincidono con razionali proseguimenti della massa muraria.

Circondata da monumenti di lei più antichi, il tempo tuttavia le ha concesso, in solennità e presenza, l’ultima parola, sicché pur il vicino mare le appare giovane; come ulteriore sfida alle ere, la facciata principale fu posta di fronte all’antico ippodromo romano, ora estinto, e la moschea stessa edificata sul nome degli imperatori bizantini, intendo sulle rovine del Gran Palazzo.

L’influenza dell’Architettura Araba sull’Europa Medievale, e non solo, fu enorme. Si pensi al Gotico – i Goti erano distruttori, non costruivano. Ragioniamo delle volte e dell’arco a sesto acuto, della somiglianza fra l’arco persiano e quello inglese Tudor, di questo molto più antico; di come il gusto islamico preannunci le cupole a bulbo tartare della Russia e, più in generale, il magnifico stile barocco. Come il canto dei muezzin richiama i fedeli alla preghiera, così il fascino arabo richiamò l’attenzione dei crociati. Le forme aggraziate dei minareti digradanti influenzò i campanili rinascimentali in Italia. Copiati furono i leggiadri mashrabiya nelle inferiate delle chiese inglesi; le iscrizioni a caratteri cufici influenzarono le iscrizioni tardo-gotiche e certamente i parapetti ornamentali provengono dal popolo del deserto. Inoltre, le iscrizioni ‘mnemoniche’ o testi tratti dal Corano, scritti o in caratteri cufici o con il più fluente alfabeto nashki, entrambi molto antichi, ispirarono i testi del gotico nelle chiese.

Delle altre Moschee Ottomane, desideriamo ricordare quelle dell’architetto Sinān, «uomo liberato», cioè convertito all’Islam; ecco dunque la Bayezid II dall’equilibrio inesplorato, la Moschea di Solimano dalle immani fondamenta di pietra e la Selimiye, capolavoro assoluto. La prima, come si diceva, dall’equilibrio inesplorato, con l’interno e l’esterno integranti, si caratterizza per una semicupola di certa ispirazione: la Moschea di Santa Sofia. Da quest’ultima, tuttavia, si differisce di molto proprio a causa dell’interno: fra la navata centrale e quelle laterali non si accentuano separazioni.

La Moschea di Solimano, vista dal Corno d’Oro, appare ancora più solenne. Contrafforti, archi e volte generano divisioni spaziali interne con accostamenti felici corrispondenti a un esterno confacente. Complessità e serenità e proporzione: la cupola raggiunge un’altezza di 53m con diametro di 26,50. Lo spazio centrale è un cubo sormontato da una mezzasfera, si ottiene la proporzione 2:3; inoltre, l’area interna risulta un quadrato diviso in sedici parti, quattro di esse formano il quadrato principale.

Nata col bottino della conquista di Cipro, la Selimiye (situata nella località di Edirne), possiede una corona di minareti alti più di settanta metri, i quali dominano l’inizio dell’Impero Ottomano e si posizionano agli angoli della sala di preghiera mettendo a risalto la simmetria radiale della moschea a composizione piramidale, la quale termina con la cupola dal diametro di 31,28m. Otto contrafforti a forma di cupola salgono dai pilastri, rinforzati a loro volta da altri archi rampanti; lo spazio che si respira è logico e armonico.

di Giancarlo Petrella,
Proprietà letteraria riservata©

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